Alberto Negri, Il Sole-24 Ore 9/3/2010;, 9 marzo 2010
IN NIGERIA UCCISI 500 CRISTIANI
Della Nigeria- 150 milioni di abitanti, il gigante demografico dell’Africa - l’Occidente conosce il Delta, che galleggia tra il petrolio delle multinazionali e una guerriglia incendiaria, e la megalopoli di Lagos, una sorta di pattumiera internazionale nel cui porto si scaricano ogni mese 500 barili di rifiuti tossici del mondo industrializzato. Ma ignora quasi tutto di quel che avviene nella Middle Belt, sul Plateau, l’altopiano: qui, a 1.200 metri d’altezza, insieme al vento secco dell’harmattan,soffia un conflitto antico, quello tra nomadi e sedentari, che si intreccia alle laceranti divisioni etniche e religiose tra cristiani e musulmani.
Jos, la capitale dello Stato di Plateau, è il cuore di tenebra della Nigeria sconosciuta, dove tra sabato e domenica, nel villaggio di Dogo Nahawa, i pastori musulmani di etnia Fulani hanno massacrato 500 coloni cristiani Berom, a colpi di fucile e machete, al grido, dicono le cronache, di ”Alla u Akbar”,Allahè grande. Alla notizia di ogni strage, che fa morti sia una parte che dall’altra, i vertici della Chiesa intervengono nel tentativo di calmare le acque. L’arcivescovo di Abuja, monsignor Onaiyekan, afferma «che non si uccide a causa della religione, ma per rivendicazioni sociali, economiche, tribali, culturali». Interpretazione avallata ieri anche dal portavoce del Vaticano, padre Federico Lombardi. Piùo meno la stessa cosa aveva detto qualche settimana fa, dopo un massacro con altri 500 morti, il vescovo di Jos, Ignatius Ayau Kaigama: «Qui si lotta non per l’islam o il cristianesimo ma per il controllo politico della città». La versione dei prelati nigeriani, apparentemente neutra, ci aiuta a non perdere di vista la crisi dello stato nigeriano. Gli scontri tra cristiani e musulmani si prestano a essere manipolati in un momento di grande incertezza: il presidente Umaru Yar’Adua, musulmano, è rientrato in patria dopo tre mesi di assenza e il suo vice, il cristiano Goodluck Jonathan, non intende cedere i poteri ricevuti ad interim. In gioco ci sono la campagna per le presidenziali del 2011 e la rotazione alla massima carica dello stato tra un cristiano e un musulmano, un regola non scritta che se se fosse violata farebbe saltare la Nigeria con i suoi 2,6 milioni di barili di petrolio al giorno, più o meno quello che produce oggi l’Iraq.
La disgregazione del gigante dell’Africa preoccupa l’Occidente che peraltro in Nigeria è discretamente detestato sia per le multinazionali che per aver tollerato decenni di giunte militari e l’appetito predatorio dei padrini nigeriani come il pittoresco Jonathan- occhiali scuri e borsalino calato in fronte - che hanno inghiottito 400 miliardi di dollari di risorse petrolifere. Il segretario dell’Onu Ban Kimoon ha lanciato un appello «alla moderazione dei leader politici e religiosi per risolvere la crisi di Jos». Il ministro degli Esteri Franco Frattini afferma con forza che «i diritti dei cristiani vanno tutelati».
Ma cosa accade davvero nel cuore di tenebra del Plateau dove chi siano Ban e Frattini non lo sa nessuno? Il destino tragico di Jos forse era già segnato dalla fondazione della parte moderna della città nel 1915, quando diventò un centro minerario dei coloni britannici. Per i cristiani Jos è acronimo di ”Jesus Our Savior”e i missionari la scelsero perché al centro del Plateau, un altopiano dal clima temperato: ma la città, 500mila abitanti, si trova oggi sulla linea di faglia che separa il nord musulmano dal sud cristiano.
La sequenza del decennio è impressionante: nel 2001 vengono massacrati centinaia di cristiani, arrostiti nell’incendio del moderno centro commerciale, orgoglio della comunità; nel 2004 la vendetta fa strage di 700 musulmani; nel 2008 muoiono in 800 di entrambe le etnie e nel gennaio scorso in 400, soprattutto musulmani. Ma è da un secolo che Jos ha una tradizione di violenze inaudite, che soltanto in parte si conciliano con la versione neutra dei vertici ecclesiatici. La radice degli scontri è nell’indirect rule applicato dai coloni britannici che favorirono per decenni la supremazia delle élite degli Hausa, commercianti e musulmani. Mentre in città, attirate dallo sviluppo economico, affluivano etnie da ogni parte del paese, soprattutto dal nord musulmano, le popolazioni locali - i Berom, i Kanuri, gli Afizere, i Tiv- venivano convertiti in massa al cristianesimo dalle missione evangeliche e pentecostali sparse in quasi tutto il territorio del Plateau.
Questa immigrazione convulsa, con un centinaio di etnie e 40 lingue diverse, non si è mai integrata. La segregazione si è anzi accentuata soprattutto quandoi cristiani sono andati al potere: si è creato un binomio indissolubile tra popolazione autoctona e identità religiosa cristiana, con una leadership visceralmente ostile ai musulmani e ai nuovi immigrati. Allo stesso tempo negli stati vicini, con l’instaurazione della sharia, la legge islamica, si è infiammato il fondamentalismo musulmano. A Jos i musulmani sono percepiti dai cristiani come stranieri invasori che non possono aspirare alla cittadinanza. Gli islamici giudicano i cristiani dei kafir, degli infedeli, mentre i cristiani considerano i musulmani come ”awon elesin imolile”, cioè degli assassini.
così, con questi modelli negativi e persistenti, che a Jos si è propagata l’effervescenza religiosa, attraverso radio, tv, stampa e un proselitismo capillare che ha inasprito le divisioni, riaccendendo antichi conflitti e innescandone di nuovi. Ma all’Occidente,così incline e facile agli appelli, importa davvero quanto avviene realmente nelle terre alte e tenebrose del Plateau nigeriano?