Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 11/03/2010, 11 marzo 2010
LA MARCIA DEI RUSSI IN ASIA STORIA DI UNA EPOPEA
Proprio mentre il Corriere pubblicava la sua risposta a una lettera col titolo «Russia nell’Unione Europea sì, ma con un piede fuori», stavo leggendo l’interessantissimo saggio «Siberia» di Benson Bobrick. Mi pare di capire che la conquista dell’immenso impero asiatico da parte della Russia ebbe caratteristiche simili a quella del «Far West» statunitense. Un vero «Far East» russo quindi, ma ancora più duro e colossale. Basti pensare al lago Baikal lungo pressappoco quanto la distanza tra Milano e Roma o la bellissima ma sconvolgente penisola della Kamchatka, grande più di una volta e mezzo l’Italia. Come mai il cinema russo non ha approfittato di un’epopea simile per far conoscere il Far East russo, mutilato peraltro dalla vendita dell’Alaska agli Stati Uniti per «un pugno di dollari» nel 1867?
Natalie Paav
nataliepaav@yahoo.com
Cara Signora, la grande marcia dei russi verso sud e verso est comincia intorno alla metà del Settecento e copre un periodo che coincide in buona parte con la espansione dell’America verso sud e verso ovest. I primi nemici furono i tartari, o tatari, del Volga e della Crimea, gli stessi che avevano dominato la Russia per due secoli all’epoca dell’Orda d’oro e a cui Lenin concedette una repubblica autonoma nel 1921, gli stessi che Stalin deportò in massa verso gli Urali, il Kazakistan, la Siberia occidentale e l’Uzbekistan per punirli dell’entusiasmo con cui avevano accolto i tedeschi nel 1941 e nel 1942. Il khan dei tartari apparteneva a una dinastia che regnava da 250 anni, ma era vassallo dell’Impero ottomano. Furono i turchi, quindi, il vero nemico contro il quale la Russia dovette misurare le sue forze. Si combatterono epiche battaglie per la conquista di Azov, più volte persa e ripresa, per Feodosija, che allora si chiamava Caffa, come all’epoca delle colonie genovesi sul Mar Nero, per Evpatorija, dove una grande poetessa, Anna Achmatova, passò le sue vacanze quando era bambina, per l’istmo di Perechop, fra il Mar Nero e ilMare di Azov, per Bachisaray, dove il khan aveva il suo serraglio. Da quel momento l’espansione asiatica dell’impero russo verso l’Asia va di pari passo con il declino degli altri grandi imperi che avevano dominato gli immensi spazi al di là del Caucaso e degli Urali.
I russi impararono a combattere come i coloni americani. L’esercito montava e smontava le proprie fortificazioni, costruiva fortini, lanciava messaggi alle retrovie con segnali di fumo, creava barriere di picche e filo spinato contro la cavalleria nemica, scavava fossi per arrestare le fiamme quando i nemici approfittavano del vento favorevole per incendiare le praterie. Come gli americani, i russi non si battevano per difendere una frontiera, ma per spingerla sempre più in là. E non si arrestarono prima di avere fondato sulle coste del mar del Giappone una città che si chiama, per l’appunto, Vladivostok, Estremo Oriente.
Lei chiede, cara signora, perché la cinematografia russa, a differenza di quella americana, non abbia raccontato e cantato questa epopea. Non lo fece in epoca sovietica perché l’epopea da raccontare, allora, era quella della Rivoluzione d’Ottobre, dei piani quinquennali e della Grande guerra patriottica. Oggi l’idea potrebbe piacere a Putin e Medvedev.
Sergio Romano