Alberto MAttioli, La Stampa 11/3/2010, pagina 37, 11 marzo 2010
LA MIA TV INATTUALE NEL NOME DI DIO
Il suo problema, anche se non l’ammetterà mai, è che il peccato è più telegenico della santità. Sta di fatto che, dopo il Boffo-gate, la Cei ha chiamato lui a dirigere la sua Tv2000, alle prese con il delicato passaggio al digitale terrestre. Lui è Stefano De Martis, 49 anni, giornalista (il che spiega l’intervista in «tu»), sardo timido ma tosto. E poi cautissimo, riservatissimo, prudentissimo.
Anche cattolicissimo?
«Certo».
Di destra o di sinistra?
«Un ragazzo di parrocchia».
Allora, parliamo di Boffo...
«No».
No?
«Beh, magari sì. Ma ci devo pensare. Alla fine, per favore».
Vabbé: come sono i vescovi come editore?
«Lo dico da giornalista con trent’anni di professione alle spalle: il migliore che abbia avuto».
Si dice sempre così.
«Però stavolta è vero. Perché il progetto è chiaro».
Appunto: com’è, la tivù dei vescovi?
«Ha un’identità precisa e dichiarata, il che anche un gesto d’onestà. Però ha anche l’ambizione di parlare a tutti».
Qualche programma di cui sei fiero?
«Per esempio TgTg, che mette a confronto i vari telegiornali. Le grandi inchieste di Pupi Avati, bellissime. Il Grande Talk, sui media, un format così riuscito che la Rai ce l’ha copiato. In generale, in palinsesto voglio tre cose: l’informazione, la cultura (l’arte, la musica classica anche in prima serata, i libri, il cinema, il teatro, la poesia) e la Chiesa».
Come si racconta la Chiesa?
«Per esempio, il prossimo mese parte I passi del silenzio, cinque racconti dai monasteri di clausura: il primo sarà il Cottolengo. Ho deciso di produrlo dopo il successo del film Il grande silenzio».
Oppure?
«Oppure Vita da preti, sedici anziani parroci della provincia profonda che raccontano la loro Italia».
Sedici vecchi preti: il massimo del glamour.
«Io lo definirei un programma splendidamente inattuale».
A proposito di Chiesa: vista dal fronte laico, sembra che la Cei parli di tutto, decreti elettorali compresi, tranne che di Dio.
«Vi sbagliate. Perché siete parziali. Sai come s’intitolava l’ultimo convegno della Cei?».
No.
«”Dio oggi”. Poi, certo, i vescovi italiani vivono in Italia, non su Marte».
Com’è Benedetto XVI come comunicatore?
«Straordinariamente efficace perché ha ridato peso alle parole».
Traduci.
«In questo mondo annegato nelle parole, le sue spiccano. Così fa ”passare” concetti anche difficili. Come entrare in una stanza piena di brusio e sentire distintamente almeno una voce».
Come giudichi le fiction edificanti della Rai? Paolo VI e Sant’Agostino e la Bibbia eccetera?
«Ci sono stati alti e bassi. Ma preferirò sempre una fiction anche modesta al Grande fratello, all’Isola dei famosi e all’altra spazzatura».
Ferve il dibattito sull’uso e soprattutto l’abuso televisivo del corpo delle donne. possibile fare tivù senza donne nude?
«Assolutamente sì. L’aspetto interessante e non scontato è che noi cattolici lo diciamo da sempre, ma adesso iniziano a dirlo anche gli altri».
A parte il tuo, i media come raccontano la Chiesa?
«Di solito, per cliché».
Cioè?
«O enfatizzando gli aspetti problematici o concentrandosi sui grandi eventi».
Ovvio: quando la Chiesa raduna milioni di persone per la Sindone o la Giornata della Gioventù noi laici restiamo basiti.
«E allora guardate Tv2000. Perché quegli exploit nascono dalla quotidianità della Chiesa. Che è poi quella che racconto io».
Dalla torre butteresti Bagnasco o Ruini?
«Piuttosto butto te».
Adesso vuoi parlare del tuo precessore?
«Solo se scrivi quel che ti dico. Questo: la vicenda di Dino Boffo è stata estremamente dolorosa. Ma sono sicuro che ci saranno occasioni, tempi e modi perché possa ancora servire con il suo contributo prezioso la Chiesa italiana».
Amen.