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 2010  marzo 11 Giovedì calendario

VANACORE, I SOSPETTI SEPOLTI DAL SUICIDIO

Se ne va con i suoi silenzi e i suoi misteri, Pietrino Vanacore. Non ce l’ha fatta ad affrontare di nuovo i clamori, la folla, le domande, i sospetti. E che di sospetti su di lui ce ne fossero a iosa, si sa. Tanto per cominciare, non aveva un alibi per quella sera del 7 agosto 1990. Nel mastodontico palazzo di via Poma, oppressi da una canicola eccezionale, in quel martedì d’estate non c’era già nessuno. Tutti al mare. C’erano per l’appunto i portieri, Pietrino e Giuseppa Vanacore. E poi l’inquilino dell’ultimo piano, un anziano bizzoso ingegnere, il signor Valle. Pietrino, racconteranno i suoi famigliari, sarebbe uscito alle 20.30 dicendo: «Vado a dormire dall’ingegnere. Mi hanno chiesto di non lasciarlo solo di notte». Ma poi a casa Valle si presentò dopo le 23. Lo disse l’ingegnere alla polizia: «Sì, Pietrino era venuto per dormire da me. Ma arrivò poco prima che iniziasse il trambusto per le scale». Il «trambusto» era la sorella di Simonetta che si disperava, appena scoperto il cadavere. Ed erano passate le 23.30. Quasi tre ore di buco nell’alibi? Vanacore dove era stato per tutto quel tempo? Lui disse: ad innaffiare fiori. I magistrati sospettarono invece che fosse a pulire l’appartamento e a cancellare tracce. E lo arrestarono per favoreggiamento. Ma poi fu prosciolto.
Seconda incongruenza del personaggio, che sicuramente sarebbe venuta fuori nell’interrogatorio di domani: perché fece finta di nulla, attorno alla mezzanotte, quando arrivò la polizia? Un agente lo incrociò nelle scale, mentre scendeva verso il piano terra; lui salutò educatamente e scivolò via. Che fosse il portiere, lo scoprirono solo due ore dopo quando decisero di continuare gli interrogatori di moglie e figlio in questura. «Un minuto che avverto mio marito», disse Giuseppa. E solo allora uscì dall’ombra dove si era rintanato. Si dirà: la confusione di quella notte. Già, anche lei era entrata nel pallone: aveva ancora le chiavi dell’appartamento degli Ostelli in mano e intanto lo negava alla polizia. Fu la sorella di Simonetta quasi a strappargliele di mano.
E veniamo alla famosa agendina. E’ forse il capitolo più incredibile di un’inchiesta bislacca. Gli agenti trovano su una scrivania una piccola rubrica tascabile e pensano che sia di Simonetta. Finisce in uno scatolone e nessuno se ne cura più. Dopo dieci anni, nel 2000, a papà Cesaroni vengono restituiti gli oggetti personali di sua figlia ed è lui a scoprire che quell’agendina non è di Simonetta ma di Vanacore. Salta agli occhi che ci siano i numeri di Vanacore Marco e Vanacore Mirko, i figli del portiere, uno accanto all’altro. Papà Cesaroni la porta in questura e lì un ispettore, anziché drizzare le orecchie, non fa altro che convocare Vanacore e gliela restituisce. Fine di un filone d’indagine. Nessuno si pone il problema di come l’agendina di Vanacore sia finita lì dove è stata trovata.
Infine la vicenda delle telefonate. Soltanto nel 2007, quasi per caso, interrogando la moglie di Mario Macinati, custode della villa in campagna di Francesco Caracciolo, l’avvocato che era presidente dell’Associazione ostelli della gioventù, è emerso che quella sera, alle 20.30 e alle 23 (prima cioè che il corpo di Simonetta fosse scoperto) arrivarono due telefonate misteriose. All’altro capo del filo c’era una voce maschile che diceva: «Chiamo dagli Ostelli. Passatemi l’avvocato». Secondo la procura, quella era la voce di Vanacore. Macinati però negò di conoscerlo e negò persino di avere ricevuto le due telefonate. In seguito un’intercettazione ha fatto capire il contrario e ora Macinati è indagato per falsa testimonianza. Purtroppo però non ci sono i tabulati del traffico dei telefoni dell’ufficio dove Simonetta fu uccisa. E così, ora, a distanza di venti anni, anche un fatto così semplice è destinato a restare nel vago.
Ora qualcuno comincia a pensare che a Vanacore sia stata chiusa violentemente la bocca. Lo dice il criminologo Francesco Bruno: «E’ un omicidio sospetto. Non ci credo, c’è un assassino». E’ davvero andata così? L’avvocato Paolo Loria, che difende Busco, è sornione: «A questo punto io mi aspetto un secondo colpo di scena. Sta saltando il tappo. O qualcuno decide di cantare come un usignuolo o si rischia un secondo suicidio. Se vero o indotto, decidete voi».