Ennio Tomaselli, La Stampa 9/3/2010, pagina 19, 9 marzo 2010
LIBERO DOPO 9 ANNI NON E’ UNO SCANDALO
In questi giorni sono stati proposti da più parti pesanti interrogativi sulla scarcerazione per fine pena di Omar, condannato con Erika per il delitto di Novi Ligure. Essendo stato presidente del collegio giudicante che trattò il processo in primo grado ed avendo scritto la motivazione della sentenza di condanna pronunciata il 14-12-2001 e poi passata in giudicato, ritengo utile, senza entrare nel merito del dibattito, puntualizzare alcuni dati di fatto che nel clamore di questi giorni rischiano di essere trascurati o fraintesi.
1. La pena determinata in sentenza fu di 24 anni di reclusione per Erika e di 21 per Omar, tenuto già conto di attenuanti e diminuente (diminuente della minore età, di applicazione obbligatoria). Pene che noi giudici (del Tribunale per i minorenni e poi della Corte di Appello - sezione per i minorenni - di Torino) valutammo adeguate sulla base di una valutazione complessiva di tutti gli aspetti, oggettivi e soggettivi, di una vicenda, umana e processuale, di estrema complessità.
Sì, certo, anche di quelle 97 coltellate e dell’orrore, nell’orrore, per la fine di Gianluca.
2. La sanzione inflitta con la stessa sentenza fu, peraltro, di 16 anni per Erika e di 14 per Omar perché gli imputati avevano chiesto il giudizio abbreviato (richiesta accolta essendovene gli estremi), che comporta, per legge, l’automatico «sconto» di un terzo della pena.
3. Sempre al legislatore è, ovviamente, riconducibile l’indulto di cui alla legge del 31-7-2006. Condono di tre anni di reclusione, salvo che per i condannati per taluni, specifici, reati (nulla, però, che riguardasse un caso come questo).
I «fine-pena» di Erika e di Omar vennero, così, anticipati di tre anni.
4. Omar ha fruito, per il resto, del beneficio della liberazione anticipata (detrazione di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata), previsto dall’ordinamento penitenziario (legge 26-7-1975) per il condannato «che abbia dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione… quale riconoscimento di tale partecipazione e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società».
5. Tutto ciò che ha prodotto lo scarto fra i 21 anni ritenuti dai giudici quale giusta pena per Omar ed i circa 9 anni di effettiva detenzione. Non è scaturito, dunque, dalla normativa penale minorile, dal fatto che «Omar ed Erika erano minorenni», ecc…., perchè questo giovane ha, in realtà, fruito di benefici (in senso lato, essendovi comunque evidenti differenze, formali e sostanziali, fra i tre istituti citati) che sono stati previsti anche ed anzitutto per gli adulti.
In questo caso, in realtà, non è stato applicato alcun istituto alternativo specifico per i minorenni. Non il perdono giudiziale o le sanzioni sostitutive (che riguardano tutt’altri casi), non la sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato, che pure era ed è possibile per qualsiasi reato e che la difesa di Omar aveva, in effetti, chiesto (richiesta respinta con la sentenza del 14-12-2001 perché questo percorso, che in caso di esito positivo della prova avrebbe comportato l’estinzione dei reati, venne valutato, per svariati motivi, assolutamente incongruo in quel caso e per quel ragazzo).
La «specificità» della procedura e del magistrato minorile si è esercitata, in questo caso, essenzialmente nella ricostruzione dei fatti e delle loro motivazioni, nella valutazione dell’imputabilità in concreto dei due ragazzi e nella determinazione delle pene, nelle misure già indicate.
Fu una valutazione molto complessa, umanamente anche molto sofferta, sia per l’estrema gravità dei delitti che per l’intreccio delle relazioni (familiari, della coppia Erika-Omar, ecc…), anche se potemmo avvalerci di indagini psicologiche e criminologiche svolte con estremo approfondimento sia dai periti d’ufficio che dai consulenti di parte.
Posso solo, concludendo, ribadire, per questo caso, che chi giudicò ebbe, ovviamente, ben presenti, oltre agli imputati, le vittime (tutte: penso anche al papà di Erika) e, una volta ritenuta l’imputabilità dei due ragazzi, determinò pene che valessero, oltre che a costituire una giusta sanzione, anche a promuovere, in tempi adeguati, quella rieducazione di cui la nostra Costituzione parla per tutti i condannati e che, per i minorenni, significa anzitutto sviluppare, crescendo, potenzialità positive antitetiche a quelle, negative o, come in questo caso, distruttive, palesate con la commissione del reato.
Lascio a chi vorrà leggere queste righe ogni altro giudizio, auspicando che possa essere comunque, nonostante tutto, sufficientemente sereno perché possano essere colte negatività e positività e, soprattutto, tutte le effettive cause di ciò di cui discutiamo, senza semplificazioni che non aiutano, credo, a cogliere le radici dei problemi.
Ennio Tomaselli, già magistrato minorile, attualmente sostituto procuratore
presso la Procura generale di Torino