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 2010  marzo 09 Martedì calendario

NEL CORO DI RATISBONA REGNAVA IL TERRORE

A Ratisbona e Etterzhausen regnava un regime di terrore assoluto». Modi affabili, giacca di un noto stilista tedesco, aspetto giovanile nonostante abbia superato da un po’ i cinquanta, il regista bavarese che siede in una caffetteria a sud di Berlino, sorseggiando un caffellatte, può guardare indietro a una vivace carriera negli ambienti culturali tedeschi. Se però volge lo sguardo agli anni Sessanta, agli anni del liceo, cioè, l’aggettivo che gli viene in mente è uno solo: «schrecklich», «terribile».
Dai primi anni Sessanta all’inizio degli anni Settanta era anche lui un «passerotto», un membro, cioè, del famoso coro di voci bianche del duomo di Ratisbona (i «Regensburger Domspatzen»), oggi al centro di uno scandalo per gli abusi sessuali e le violenze corporali ai danni dei ragazzini risalenti al periodo tra il 1958 e il 1973.
Il regista, che preferisce restare anonimo, rimase prima un anno a Etterzhausen presso la scuola elementare legata al celebre coro; poi si trasferì a Ratisbona, dove frequentò il liceo, visse nel convitto collegato e cantò coi «Domspatzen». Lui non rimase vittima di abusi sessuali. Anzi, ci tiene a precisare, degli abusi sessuali «noi non sapevamo nulla, visto che le persone coinvolte non ne parlavano affatto». Eppure ricorda bene quello che successe in quegli anni, tanto nella scuola di Etterzhausen, quanto nel liceo e nel convitto di Ratisbona. Ricorda ad esempio di un compagno di classe, «Jo», che provò a togliersi la vita tra il 1965 e il 1966; salvato dai medici, non poté mai più metter piede nel convitto (nei giorni scorsi il compositore Franz Wittenbrink aveva parlato di un altro ragazzo che si era suicidato, un caso diverso da quello avvenuto nel 1965-1966 e precedente di pochi anni). Ricorda di un altro compagno che lasciò il liceo di Ratisbona, fece perdere le sue tracce e due anni dopo finì sui giornali per aver commesso un omicidio negli ambienti omosessuali. Un caso, spiega il regista, che «secondo me va ricollegato a quanto successo a Ratisbona».
Ricorda delle droghe che giravano già nei primissimi anni Settanta tra i ragazzi del convitto di Ratisbona, introdotte di nascosto non si sa bene come. E, soprattutto, ricorda il sistema di severe punizioni corporali, iniziate già a Etterzhausen, su bambini che avevano nove o dieci anni. Il direttore della scuola elementare «era un sadico perfetto: ci picchiavano sulle mani con un bastone e, se provavamo a nasconderle, ricevevamo il doppio delle botte; poi ci picchiavamo sul sedere nudo». Etterzhausen «era un incubo: speravamo di andare a Ratisbona perché ci aspettavamo che lì le cose sarebbero migliorate, ma non era così».
A Ratisbona, infatti, «le punizioni corporali erano all’ordine del giorno». Nel liceo, ricorda, ma in parte pure nel coro. Anche nel periodo in cui a guidarlo fu il fratello del papa, Georg Ratzinger, cioè tra il 1964 e il 1994? «Naturalmente», risponde secco il regista. Ogni tanto qualcuno tra i «passerotti» riceveva uno schiaffo, «anche da Ratzinger», se ad esempio sbagliava qualcosa. Lui alla spiegazione di Georg Ratzinger di non aver saputo nulla degli abusi sessuali - abusi che si verificarono prima che padre Ratzinger assumesse la guida del coro - non crede molto. «Mi sembra poco probabile».
Fuori dalla caffetteria, a pochi chilometri di distanza, la cancelliera Angela Merkel incontra intanto la stampa estera e prova ad abbassare i toni dello scontro che divide alcuni componenti del suo governo dalle gerarchie ecclesiastiche. Il Vaticano non fa abbastanza per chiarire quanto successo, ha attaccato poche ore prima il ministro della Giustizia del suo governo, la liberale Sabine Leutheusser-Schnarrenberger. C’è un «muro di silenzio», ha spiegato la Leutheusser-Schnarrenberger alla radio pubblica Deutschlandfunk. La Merkel tenta di spegnere la polemica. Con le scuse pubbliche pronunciate nei giorni scorsi dal presidente della Conferenza episcopale tedesca, Robert Zollitsch, e con altre decisioni, come la creazione di una linea telefonica riservata alle vittime degli abusi, «la chiesa ha compiuto passi molto, molto importanti», che indicano che «vuole affrontare il problema in modo molto serio», chiarisce la cancelliera. Le gerarchie ecclesiastiche dovrebbero fare di più? «Al momento non credo», puntualizza.
Nella caffetteria di Berlino, nel frattempo, il regista bavarese finisce il suo caffellatte. «Ho parlato anche con uno psicologo, come molti altri», spiega. «Da soli non si può elaborare quello che è successo».