Marco Zatterin, La Stampa 9/3/2010, pagina 7, 9 marzo 2010
FONDO MONETARIO EUROPEO, IL PRGETTO PIACE ALLA UE
Frau Merkel è certa la creazione del Fondo monetario europeo sia «un’idea buona e interessante» e, visto l’ascendente che la Germania ha sull’Ue di questi tempi, vuol dire che l’iniziativa può decollare davvero. I francesi sono d’accordo come lo è l’Italia, gli altri seguono con almeno qualche entusiasmo, tanto che Olli Rehn, commissario per l’Economia, si sbilancia sino ad assicurare che Bruxelles «è pronta ad avanzare la proposta» per varare uno strumento che garantisca maggiore stabilità ai sedici Paesi dell’Eurozona e scongiuri ogni imbarazzo qualora si verificassero altre emergenze come quella greca.
Giochi fatti? Per nulla. Il membro del board Bce Jurgen Stark, sostiene (a titolo personale, precisano a Francoforte) che si tratta di «un meccanismo incompatibile con i Trattati». Un tedesco contro i tedeschi. Bello scontro, davvero.
E’ la politica che sfida i tecnici. Quando dieci e passa anni fa si è costruita l’Unione monetaria, la possibilità di blindarla con un istituto tipo Fmi è uscita presto dall’agenda. Molti governi non la volevano, neanche i tedeschi, consapevoli di essere quelli che alla fine pagano il conto più salato se le cose vanno male. La crisi greca, il primo grande smottamento dell’Eurozona, ha fatto cambiare idea. Se Atene facesse bancarotta, le regole Ue non permetterebbero un intervento diretto dell’Europa e, alla fine, Berlino sarebbe costretta comunque ad aprire i cordoni della borsa. Tanto vale spendersi subito per «qualcosa» che consenta di spalmare la spesa fra più capitali.
Il modello è il Fondo monetario internazionale, per il resto le idee sono in fase embrionale. Nei corridoi si racconta che sarebbe già pronto un piano messo a punto fra Berlino, Parigi e Bruxelles, uno schema che configurerebbe un ente capace di intervenire in sostegno degli sfortunati coi conti in rosso, ma che avrebbe anche la facoltà di impartire «misure severe» contro chi ha i conti fuori regola. Ad esempio, si fanno le ipotesi di una soppressione delle sovvenzioni europee, del ritiro temporaneo del diritto di voto nel corso delle riunioni ministeriali dell’Ue, e persino l’esclusione provvisoria dalla zona euro. Indiscrezioni sensate rivelano infine la possibilità di costruire il Fme facendo fare un salto di qualità alla Banca europea per gli Investimenti, con un nuovo un ruolo di finanziatrice e un potere sanzionatorio.
Sempre a sentire il tam-tam dei bruxellesi, Francia e Germania vorrebbero approfondire l’armamentario dissuasivo anticrisi. La lista teorica è lunga, si parla anche di limitare il ricorso ai «credit default swap», gli strumenti finanziari con cui la Grecia, e non solo lei, ha assicurato le proprie emissioni e mascherato il clamoroso deterioramento del debito. Il dossier risulta essere allo studio del commissario per il mercato interno, il francese Michel Barnier.
Il responsabile Ue per l’industria, Antonio Tajani, fa capire che la questione Fme ha ottime possibilità di essere discussa già oggi dalla Commissione europea. «L’Unione economica e monetaria è qualcosa di nuovo, per questo c’è bisogno di altro - spiega il portavoce di Rehn, che nega ogni concorrenza col Fmi: «Non è una questione di orgoglio». I tempi? «Stretti - risponde il collaboratore del finlandese -. Si lavora per una proposta durante la presidenza spagnola». Ovvero entro fine giugno.
Si può fare. Se persino il prudente ministro delle Finanze tedesco Schauble si schiera col progetto Fme significa che il dado è tratto. Poco gli importa se Stark è contrario, anche perché risulta che il suo presidente Trichet sia neutrale nei confronti delle scelte dei governi.
Invece è un bene che si opti per la formula Eurogruppo e si lascino pertanto fuori i britannici che potrebbero, per passione atlantica, difendere il Fmi. Con Londra in campo, fare l’Europa è sempre difficile. Figuriamoci se c’è di mezzo Washington.