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 2010  marzo 10 Mercoledì calendario

Di Ubaldo Sterlicchio Spett.le Direzione, nell’accogliere il Vostro esplicito invito a parlare di Garibaldi e di Mazzini, reputo doverosa una premessa

Di Ubaldo Sterlicchio Spett.le Direzione, nell’accogliere il Vostro esplicito invito a parlare di Garibaldi e di Mazzini, reputo doverosa una premessa. Innanzitutto, gli eventi che si svolsero nel Mezzogiorno d’Italia negli anni 1860-61 devono meglio definirsi: «Invasione del Regno delle Due Sicilie» ed il ”risorgimento” italiano, sotto tale aspetto, fu un grandissimo crimine. Esso fu tale per le finalità che si prefiggeva (asservire i popoli d’Italia alla politica accentratrice del Piemonte), per le modalità con cui fu realizzato (guerre d’aggressione, bombardamenti spietati, crudeli massacri, leggi speciali, tribunali militari, fucilazioni senza processo, saccheggi e ruberie, plebisciti truffaldini) e per i loschi individui che ne furono gli artefici (falsamente presentatici come grandi uomini, personaggi eroici, senza macchia e senza paura). Pertanto, non c’è proprio niente da festeggiare in occasione del 150esimo anniversario della brutale annessione ”manu militari” dei territori della penisola italiana al misero e fallimentare Piemonte dell’epoca. Si trattò di una unificazione malfatta che divise ancor più l’Italia. Quello che Voi chiamate ”risorgimento” è un qualcosa che, a noi meridionali, non appartiene, perché a ”risorgere” fu solo il Piemonte dell’epoca, i cui governanti, rubando in casa d’altri, ne evitarono la bancarotta. In particolare, il divario Nord-Sud iniziò proprio nel 1860, anno dell’invasione del Mezzogiorno d’Italia ed aumentò, anno dopo anno, fino al dramma attuale. Prima di allora, non vi erano grandi differenze nel reddito pro-capite e nel PIL, anzi, la situazione economica del Regno meridionale era assolutamente favorevole al decollo verso grandi prospettive. Vi ricordo che il Regno delle Due Sicilie, già dal 1856, era la terza potenza industriale d’Europa. La rovina del ricco, prospero e pacifico Reame cominciò in quel maledetto anno 1860, allorquando, con l’arrivo di Garibaldi e dei suoi compagni di merenda, il nostro antico Stato perse la propria indipendenza, fu saccheggiato, devastato e ridotto al rango di semplice ”colonia” tosco-padana! Il suo Popolo fu massacrato ad opera dei ”fratelli d’Italia” (lasciando sul campo 1 milione di morti, ammazzati in battaglie campali, con la repressione dell’insorgenza popolare – bollata dispregiativamente con il termine di ”brigantaggio” – con le indiscriminate fucilazioni in massa, nonché nei campi di sterminio), ridotto alla fame e, quindi, costretto ad emigrare (non meno di 26 milioni di meridionali, dal momento della conquista piemontese ad oggi, hanno dovuto abbandonare la propria patria). Fu allora che nacque la c.d. ”Questione Meridionale”. Per noi meridionali, quindi, festeggiare il risorgimento e celebrare i suoi artefici (Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele II & compari di merende), è come se gli Ebrei festeggiassero l’Olocausto, osannando Hitler ed i criminali nazisti che li hanno sterminati! Questo risorgimento (non nostro!), per noi meridionali, è stato solamente portatore di lutti e di miserie. Non è cosa onesta, quindi, dimenticare, ma occorre far conoscere a tutti gli italiani la Verità – anche se scomoda – per togliere la cappa di menzogna che grava ancora sugli eventi che portarono alla conquista del Sud. E la Verità deve essere conosciuta appieno soprattutto dai giovani, smettendola di raccontare loro la solita favoletta risorgimentale, secondo la quale il Sud era ”arretrato” e che Garibaldi & company sono venuti a ”liberarci” dalla tirannide borbonica. Ingannare i nostri ragazzi (come lo siamo stati noi adulti quando eravamo studenti!) con queste colossali fandonie è altamente diseducativo. Parliamo ora di Garibaldi. Giuseppe Garibaldi tutto era, tranne che un eroe. Era innanzitutto un avventuriero e mercenario, con tanto di ”patente da corsaro”, dedito ad atti di pirateria; in Sud America non combatté per la libertà delle popolazioni del Rio de la Plata, ma per favorire gli interessi commerciali inglesi: assaliva le navi non britanniche e le depredava; i suoi marinai si abbandonavano a razzie, stupri e violenze d’ogni sorta. L’indignazione dei popoli dell’America del Sud, viva ancora al giorno d’oggi, è racchiusa in un emblematico articolo apparso su Il Pais (un quotidiano argentino che, giornalmente, vende 300.000 copie circa), alla pagina 6 del numero pubblicato il 27 luglio 1995, in occasione della visita in Argentina del Presidente italiano Oscar Luigi Scalfaro: «Il presidente d’Italia è stato nostro illustre visitante… Disgraziatamente, in un momento della sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della storia delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie polemiche e aspre discussioni, diciamo al dottor Scalfaro che il suo compatriota (Garibaldi) non ha lottato per la libertà di queste nazioni come (Scalfaro) afferma. Piuttosto il contrario». E’ stato anche un mercante di schiavi cinesi dall’estremo oriente in Cile: il suo armatore Pietro Denegri diceva che glieli potava «tutti grassi e in buona salute». Commissionò l’assassinio di Manuel Duarte de Aguiar, suo rivale in amore, perché legittimo marito di Anita; con qualche rimorso postumo, il ”generalissimo” nelle sue memorie sentenziò al riguardo: «Se vi fu colpa, io l’ebbi intiera, e… vi fu colpa!». La spedizione dei mille e la conseguente invasione del Regno delle Due Sicilie fu, a pieno titolo, un gravissimo atto di pirateria internazionale, in quanto perpetrato nel totale dispregio di ogni più elementare norma di Diritto Internazionale, prima fra tutte, quella che garantisce l’autodeterminazione dei popoli. Fece saccheggiare tutto quanto trovava sulla sua strada: banche, musei, regge, chiese, arsenali ed anche casse private di molti cittadini, appropriandosi e distribuendo ai suoi amici ricchezze d’ogni genere. Ce lo testimonia, addirittura, lo stesso Vittorio Emanuele II, il quale, dopo l’incontro di Teano, così scrisse al Cavour: «…come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene, siatene certo, questo personaggio non è affatto docile, né così onesto come lo si dipinge e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il danaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui che s’è circondato di canaglie, ne ha eseguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa». Lo sbarco a Marsala del 1860 fu, quindi, l’inizio di quella disastrosa campagna che portò alla fine del Regno delle Due Sicilie: le popolazioni del Sud furono aggredite da una banda irregolare, guidata da un capo irregolare, di nazionalità estranea al regno stesso e che nessuno aveva chiamato, all’infuori di alcuni oppositori al regime legalmente e legittimamente vigente, ideologicamente impegnati e per tale qualità entrati e usati in un gioco politico internazionale non favorevole alle Due Sicilie. La tanto celebrata vittoria di Calatafimi non fu conseguita sul campo, bensì fu letteralmente ”comprata” da Giuseppe Garibaldi, il quale aveva già provveduto a corrompere il generale borbonico Francesco Landi. Costui, infatti, non mandò i necessari rinforzi alle poche compagnie di soldati napoletani che si erano battuti coraggiosamente e che avevano addirittura sottratto ai garibaldini la loro bandiera: tale cimelio è tuttora in possesso dei discendenti dei Borbone di Napoli. L’invio di un solo battaglione di riserva avrebbe consentito di massacrare tutte le camicie rosse, Garibaldi compreso. Questo non trascurabile particolare spiega anche l’ostentata sicurezza con la quale il nizzardo affermò: «Bixio, qui si fa l’Italia o si muore!», in quanto il c.d. eroe dei due mondi era ben sicuro di… non morire! Ed a proposito del Landi, lo storico Giacinto de’ Sivo così scrisse: «Che fuggisse per codardia non è da credere, ché la zuffa lontana da lui potea finire vittoriosa, sol ch’avesse mandato un altro battaglione. Traditore il gridò concorde la fama, traditore affermavanlo a voce molti garibaldini stessi. Seguita la catastrofe del regno, ei si moriva improvviso in marzo 61; e fu notorio, e anche stampato il perché, ch’io ho verificato vero. Mandò al banco di Napoli a cambiare una polizza di 14.000 ducati, ma trovatasi essere di 14 ducati, e alterata e falsa nella cifra, costretto a parlare confessò averla dal Garibaldi; Landi, per dolore tocco d’apoplessia, lo stesso giorno morì». Garibaldi fu il mandante dell’eccidio di Bronte, dove fece fucilare, per mano di Nino Bixio, i contadini che avevano osato ”usurpare” le terre (da lui stesso promesse a quei disgraziati) che erano di proprietà degli inglesi. L’eccidio di Bronte è stato narrato, con dovizia di particolari, dal garibaldino Cesare Abba, nel suo libro Da Quarto al Volturno; consultatelo! L’arrivo di Garibaldi nel Sud d’Italia costituisce, inoltre, il vero spartiacque nell’evoluzione e nella storia della Mafia e della Camorra: le organizzazioni criminali meridionali – grazie a lui che, nel 1860, si avvalse della loro ”preziosa” collaborazione – entrarono a pieno titolo nella vita sociale, economica e politica dello Stato, mutando la loro caratteristica: da parassitarie (vivevano ai margini della società civile ed erano efficacemente combattute dai Borbone), diventarono imprenditoriali e politiche. In merito, poi, ai famigerati ”mille”, Francesco Guglianetti, segretario generale agli interni del governo sabaudo scrisse di aver saputo «da persona autorevole che parecchi, partiti miserabili, sono ritornati colla camicia rossa e colle tasche piene di biglietti di mille lire» e Garibaldi stesso, il giorno 5 dicembre 1861, in pieno Parlamento a Torino, definì gli stessi ”mille”: «Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e, tranne poche eccezioni, con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto». Il massone Pietro Borrelli, firmandosi con lo pseudonimo di Flaminio, nell’ottobre 1882, sulla rivista tedesca Deutsche Rundschau, scrisse: «Non si deve lasciar credere in Europa che l’unità italiana, per realizzarsi, avea bisogno d’una nullità intellettuale come Garibaldi. Gli iniziati sanno che tutta la rivoluzione in Sicilia fu fatta da Cavour, i cui emissari militari, vestiti da merciaiuoli girovaghi, percorrevano l’isola e compravano a prezzo d’oro le persone più influenti». Questa testimonianza è preziosa e significativa, anche alla luce del fatto che lo stesso Garibaldi era un massone: la sua carriera di ”frammassone” iniziò nel 1844, a Montevideo, laddove ne ricevette l’iniziazione e culminò nel 1862, a Torino, con il raggiungimento del 33° grado (il più elevato!). In conclusione, Garibaldi è stato uno dei più acerrimi nemici del Sud e del suo popolo ed i meridionali stanno ancora pagando per gli immensi guasti dal medesimo provocati. In un momento di verosimile rimorso, nel 1868, il nizzardo così scrisse all’attrice Adelaide Cairoli: «Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio». Ed infine, deluso e disgustato da quelli che erano stati i risultati dell’unità d’Italia, nel 1880, così disse: «Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa miserabile all’interno e umiliata all’estero ed in preda alla parte peggiore della nazione». Evviva la sincerità! Passiamo a Mazzini. (vedi scheda successiva)