federico rampini, la Repubblica 10/3/2010, 10 marzo 2010
LA RIVOLTA DEGLI OBESI "SIAMO GRASSI, E ALLORA?"
La compagnia aerea Southwest si riserva il diritto di far pagare due biglietti a ogni passeggero obeso. L´università Lincoln in Pennsylvania avendo il numero chiuso seleziona gli studenti anche in base al peso. Lo Stato del North Carolina fa pagare una sovrattassa per l´assicurazione sanitaria ai dipendenti pubblici troppo grassi. E certe agenzie per le adozioni rifiutano candidature di genitori sovrappeso.
Se Michelle Obama ci prova con le buone (mangiando frutta e verdura del suo orto agrobiologico, giocando al calcetto con le figlie), altri in America hanno sposato la campagna anti-obesità con metodi più duri. Per una Mo´Nique – la mamma del film "Precious" – che vince l´Oscar, ci sono milioni di sosia che sono le vittime di una nuova caccia alle streghe. E adesso gli obesi dicono basta. A guidare la loro rivolta è una galassia di organizzazioni unite dallo stesso obiettivo: denunciano la persecuzione lanciata dai magri come una forma di razzismo. La più radicale si chiama Fat!So? (Grasso! E allora?). La più ufficiale è la National Association to Advance Fat Acceptance, l´associazione nazionale per promuovere l´accettazione dei grassi. Sono i nuovi movimenti per l´autodifesa degli obesi. Il loro grido di rabbia: siamo i nuovi paria, cittadini di serie B, con la scusa che l´obesità è un´epidemia costosa per la collettività, ogni vessazione contro di noi è lecita.
I leader ideologici di questa protesta sono una strana coppia. Lui, il giurista Paul Campos che ha una cattedra alla Colorado Law School, ha una linea normale (alto 1 metro e 73 centimentri, pesa 75 chili) ma ha sposato la causa per amor di giustizia, scrivendo il manifesto "The Obesity Myth". Lei, Marilyn Wann, un metro e 63 per 130 chili, fa parte delle taglie Xxl (extra-extra-large), ed è la fondatrice di Fat!So? Insieme hanno lanciato sul Daily News un appello congiunto dal titolo: "Ciccioni è ora di reagire". I due denunciano gli episodi più recenti della caccia all´obeso: il regista cinematografico Kevin Smith lasciato a terra perché giudicato troppo grasso al check-in dell´aeroporto, il governatore del New Jersey che nell´ultima campagna elettorale ha apertamente deriso il suo avversario come un ciccione. «I grassi – scrivono i due leader della ribellione – hanno meno probabilità di essere assunti in un´azienda, se trovano un posto vengono pagati meno, sono discriminati nelle ammissioni alle università, si vedono negare le cure mediche, i sedili degli aeroplani, e quando entrano in un negozio di vestiti sono i clienti più bistrattati. Sono trattati come dei sotto-uomini». Sulla stessa lunghezza d´onda è Jason Docherty, presidente dell´associazione per l´accettazione dei grassi: «L´America è la nazione del politically correct, dove in linea di principio non è consentito neppure fare dell´ironia in base al sesso, all´etnia, alla religione. L´unico caso in cui è diventato accettabile una sorta di linciaggio psicologico, è contro gli obesi».
Il contro-argomento è evidente. Gli Stati Uniti spendono ormai 344 miliardi di dollari all´anno per curare le patologie legate al peso (dal diabete alle malattie respiratorie), ed entro otto anni il 21% di tutta la spesa sanitaria americana sarà assorbita dai malati sovrappeso. Per questo, dalla città di San Francisco allo Stato dell´Illinois, anche l´arma fiscale viene usata per contrastare la mala-alimentazione: l´ultima trovata sono le tasse contro i soft-drink (bibite gassate e zuccherate), contro i dolciumi e altro cibo-spazzatura. Ma anche questo è un accanimento fine a se stesso, secondo la sociologa Katie Le Besco del Marymount Manhattan College: «E´ un altro modo per dire: sei grasso, paga. Ed è una tassa sui poveri, perché purtroppo il junk-food è dominante nella dieta delle classi sociali più sfavorite».