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 2010  marzo 10 Mercoledì calendario

LA SINDROME GRECA DI WASHINGTON

Pensavano di trovarsi davanti un leader balcanico disperato: uno che implora aiuto col cappello in mano, ma è incapace di rimettere ordine in casa sua. Hanno invece scoperto un capo di governo fiero e ragionevole che non ha chiesto soldi, ma un aiuto politico: il sostegno delle organizzazioni internazionali e un impegno del governo Usa a frenare gli attacchi speculativi di Wall Street contro la Grecia. E che ha illustrato in un buon inglese (George Papandreou è nato in Minnesota, dove il padre aveva un incarico universitario) l’azione di risanamento da lui avviata dopo i disastri combinati dai governi precedenti.
Così, non solo la stampa Usa si è messa a trattare il governo di Atene con maggior rispetto, ma alcuni commentatori hanno cominciato a chiedersi se e in quanti anni gli Stati Uniti rischiano di ritrovarsi in una situazione analoga a quella della Grecia di oggi. Il conto è presto fatto: l’Ufficio del bilancio federale ha calcolato che, senza interventi correttivi, nel 2020 il debito pubblico americano raggiungerà il 115% del reddito nazionale, un livello analogo a quello della Grecia di oggi. Sul Washington Post Dana Milbank immagina la scena che potrebbe svolgersi tra 10 anni: un compunto successore di Obama che si reca a Pechino per chiedere a quel governo di stroncare gli assalti dei finanzieri cinesi contro il dollaro e di dare fiducia all’economia americana in modo da consentire al Tesoro di Washington di raccogliere risparmio a tassi non proibitivi. E che promette ai suoi creditori di cambiare rotta rispetto all’amministrazione precedente: più rigore dopo un decennio di continua espansione del debito pubblico Usa.
Previsioni pessimiste di chi immagina un’ America sul piano inclinato di un declino inarrestabile e non tiene conto delle profonde differenze tra due Paesi’ Stati Uniti e Grecia – incomparabili per dimensioni, struttura produttiva, peso politico, forza militare. Anche in termini finanziari, del resto, gli Usa continuano a godere della «tripla A», il massimo voto di affidabilità del debito pubblico. Insomma, a tentare un paragone tra le due realtà si rischia di produrre solo una caricatura. Eppure il fatto che un esercizio di questo tipo sia tentato non solo dalla destra antitasse che demonizza la spesa pubblica, ma anche su alcuni media progressisti dà l’idea dello choc che sta vivendo la superpotenza che si è improvvisamente scoperta superindebitata e più povera di alcuni suoi «satelliti». E che già oggi è costretta a subire le critiche del governo cinese che, avendo investito massicciamente in titoli del debito pubblico statunitense, si sente in diritto di giudicare inadeguate le politiche anticrisi dei suoi debitori. «Attenti che la Grecia non è un’ isola» scrive Papandreou ai giornali americani dopo averlo detto ai suoi interlocutori a Washington. Ma per adesso i mercati percepiscono il rischio di un contagio in Europa, non certo negli Usa: e infatti è l’euro quello che torna a indebolirsi mentre il dollaro si rafforza nonostante la precarietà della situazione economica americana.
Ma chi è preoccupato per la corsa senza freni del deficit pubblico Usa teme che proprio questa forza «artificiale» del dollaro finisca per spingere gli Usa verso il baratro fiscale. Mentre la crisi ha costretto la Grecia a ridurre il suo disavanzo dal 12,7 all’8,5% del Pil e a impegnarsi a scendere entro il 2012 al 3%, gli Usa quest’anno registreranno un passivo ancora vicino al 10% del reddito nazionale e il rientro promesso da Obama non andrà oltre il dimezzamento di questo deficit entro la fine del suo mandato (deficit non inferiore al 5% almeno fino al 2013).
Insomma, Papandreou se ne torna in Europa con promesse tutte da verificare per quanto riguarda gli attacchi speculativi, ma anche col rispetto degli americani: hanno scoperto che, se volesse attuare una manovra pari a 4 punti del Pil come quella varata la settimana scorsa ad Atene, Obama dovrebbe smantellare la metà dei suoi ministeri.
Massimo Gaggi