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 2010  marzo 10 Mercoledì calendario

LA MIA VITA CON YVES: L’AMORE PER UN GENIO

Pierre Bergé, il compagno di vita di Yves Saint-Laurent, elegante come sempre in giacca di cachemire marrone e pantaloni di flanella grigia, parla con grande entusiasmo della mostra che si inaugura domani al Petit Palais di Parigi con 300 vestiti. « la mostra più importante che sia stata fatta finora - dice - Si vedranno abiti che vanno dal primo giorno di attività nel 1958 fino al 2002».
Lei ha appena pubblicato da Gallimard «Lettres à Yves», di che cosa si tratta?
«Sei mesi dopo la morte di Yves ho sentito il bisogno di scrivergli delle lettere. Quando si perde qualcuno di molto caro, non si può più dirgli ”hai visto quello?” o ”ti devo raccontare quest’altro”. In questo modo ho potuto parlargli ancora di me, raccontargli ciò che penso, dirgli cose piacevoli o meno piacevoli».
Nel libro, lei parla della vendita all’asta della vostra collezione. Lui che cosa avrebbe fatto?
«Sapevo che Yves non sarebbe stato capace di vendere. Sapevo anche di andare forse contro la sua volontà. Per questo, nella vita, ho sempre avuto una preoccupazione: che lui morisse prima di me. Lui avrebbe lasciato tutto com’era, e dopo i nostri oggetti, i nostri quadri, i nostri mobili sarebbero andati chissà dove. Io invece volevo che la sua opera fosse preservata e volevo vedere dove finiva la nostra collezione».
Ma perché ha deciso di vendere?
«Perché non avevo più il posto e non mi interessava avere la collezione senza di lui».
Dal suo libro si capisce che nella vostra vita ci sono stati grandi momenti di felicità e momenti molto pesanti. così?
«Yves aveva bisogno di fare le esperienze anche estreme che si facevano nella Swinging London. A me diceva sempre che ero noioso, troppo preciso. Mi amava molto, su questo non ho mai avuto dubbi, però io non bevevo, non mi drogavo, facevo una vita molto normale».
Saint-Lauren si vergognava davanti a lei, che lo aveva conosciuto magro e bellissimo, di essere diventato tanto grasso?
«Pesava più di cento chili e diceva di se stesso di essere diventato un mostro. Ma per me questo non era così importante. Lui aveva un’intelligenza grandissima, e aveva uno sguardo straordinario».
La sua è la storia di un amore omosessuale nato nel ”58, trattato sempre con grande libertà e leggerezza...
«L’omosessualità è quello che è, non è una deviazione o una malattia. Yves aveva un po’ paura a parlare di questo, era un giovane timido venuto dall’Algeria. Ma io l’ho aiutato ad andare avanti per la sua strada. Volevo che diventasse il centro del mondo».
Ma perché Yves Saint-Laurent ha abbandonato la moda?
«Perché questo mestiere oggi non vuol dire più niente. Oggi è un lavoro venduto, commerciale, servile: non c’è più l’integrità di un tempo, i gruppi finanziari hanno comprato la moda. La moda era diventata qualcosa dove lui non aveva più posto: sarebbe stato considerato superato e non bisognava arrivare a questo. Ho visto troppa gente che non ha mai saputo lasciare e poi ha finito per rovinarsi».
Non ci sono nuovi geni nella moda? «No. Oggi la moda è fatta per le marche, più che per i sarti. Io credo molto all’aspetto sociale della moda: penso ai prezzi, a chi può davvero portare un certo vestito. Yves ha vestiva non le donne ricche, ma le donne attive: l’epoca in cui Dior faceva il ”new look” e sottometteva una donna a i suoi diktat è finita. Saint-Laurent ha permesso alle donne di sentirsi libere».
Come definirebbe oggi Yves Saint-Laurent. Con una sola parola?
«Se avessi una sola parola direi amore. Se fossero tre direi: ammirazione, rispetto, e ancora amore».