Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 9/3/2010;, 9 marzo 2010
PERCH TREMONTI HA SACRIFICATO IL SUO MANAGER
Doveva essere il braccio armato della politica keynesiana del ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Invece la Cassa depositi e prestiti è rimasta quasi immobile, non all’altezza delle aspettative. Ma in questi giorni, l’uscita dell’amministratore delegato Massimo Varazzani, che non sarà riconfermato ad aprile, viene considerata come un segnale dell ambizioni di Tremonti più che delle sue difficoltà. Un sacrificio necessario sull’altare di un progetto più ampio. IL PROGETTO. Per capire cosa sta succedendo serve una premessa: la Cassa depositi e prestiti (Cdp) in teoria è un organismo che gestisce gli oltre 100 miliardi di euro raccolti dalle poste (per garantisce prestiti dei comuni finanzia l’edilizia sociale ecc. ), in pratica è diventata una banca ”anche se non opera sotto i vincoli della Banca d’Ita - lia ”come dimostra il fatto che la Banca centrale europea le ha imposto le riserve obbligatorie tipiche degli istituti di credito. Soltanto un anno fa è stata creata la carica di amministratore delegato, segnale che Tremonti (il Tesoro è azionista con il 70 per cento, il resto è di 66 fondazioni bancarie) voleva aumentarne l’efficacia operativa. Un’in - novazione gestionale che doveva dare un significato chiaro: la Cassa adesso non è più quel sonnacchioso organismo del passato che per operare aveva bisogno del tramite di altre strutture pubbliche. Alla presidenza arriva Franco Bassanini, già senatore del Pd e ministro nei governi di centrosinistra, appoggiato da Tremonti ma indicato dalle fondazioni bancarie (i suoi sostegni maggiori sono nel mondo che ruota attorno al Monte de’ Paschi di Siena). La missione della cassa cambia: la Cdp diventa lo strumento per le grandi operazioni strategiche, un colosso del credito che risponde soltanto a Tremonti e sul quale il governatore di Bankitalia Mario Draghi non ha potere. Prima versione di quello che sta succedendo ora: le cose non sono andate come Tremonti sperava, Bassanini e Varazzani – chi lo conosce lo definisce ”manager competente ma spigoloso” – non hanno sviluppato grande sintonia e la presidenza, che doveva essere di mera rappresentanza, è diventata sempre più operativa. Su alcuni dossier, i più delicati, i due vertici della Cassa hanno espresso posizioni quasi incompatibili. Sul ruolo nell’eventuale scorporo della rete Telecom e creazione di una società apposita di gestione così da favorire gli investimenti di operatori concorrenti (ora li può fare soltanto Telecom), Varazzani ha detto: ”Non ho alcun dossier sul, tavolo. Nessuno mi ha chiesto niente”. Lo stesso giorno, il 18 febbraio, Bassanini è un po’ meno netto: ”Se ce lo prospettassero noi lo valuteremmo, ma ci deve essere un progetto”. AL POSTO DI PRODI. Seconda lettura dei fatti di questi giorni: Tremonti ha un altro progetto, più complesso del semplice rafforzamento operativo della Cdp. Mettere le mani su quel sistema di relazioni e potere che per un trentennio ha fatto riferimento a Romano Prodi e ha avuto Bologna come territorio d’ele - zione. Il primo atto concreto di questa operazione di conquista è stata l’imposizione del prodiano Massimo Ponzellini alla guida della Banca popolare di Milano lo scorso aprile, al posto di Roberto Mazzotta. Ponzellini. Una mossa che, un anno dopo, si può considerare un successo dal punto di vista tremontiano per almeno due ragioni. La prima: la Bpm ha adottato i Tremonti bond (le obbligazioni sottoscritte dal Tesoro e inventate dal ministro) snobbate invece dalle grandi banche Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il secondo aspetto, nota un attento osservatore delle vicende milanesi, ”è che Ponzellini è ancora presidente anche di Impregilo, e questo non era scontato, e nessuno ha sollevato problemi di conflitti di interessi, anche la Consob non ha disturbato”. Per Tremonti Ponzellini rappresenta quindi un piede nel cuore del potere bancario e una sponda per realizzare grandi opere in cui vuole coinvolgere la Cdp, visto che Impregilo è il più potente tra i general cont ra c t o r che ottengono i grandi appalti. S U L L’ALTARE DI BAZOLI. Un anno dopo il blitz su Ponzellini, Tremonti appronta la seconda operazione di rilievo. Chi conosce bene gli equilibri del potere bancario spiega che alla Cassa depositi e prestiti la notizia non è affatto l’uscita di Varazzani, quanto l’arrivo di Giovanni Gorno Tempini. Il nuovo amministratore delegato arriva dalla Mittel, la finanziaria che fa capo a Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo (banca a cui Mittel è collegata da una serie di partecipazioni incrociate, in un intreccio tutto italiano). Varazzani, quindi, non viene sostituito per un giudizio negativo sul suo operato, ma per lasciare spazio a un uomo la cui vicinanza a Bazoli renderà evidente a tutti che il banchiere milanese un tempo ispiratore e protagonista del prodismo (si parlò di lui come candidato dell’Ulivo nel 2001) ora è in sintonia con il ministro Tremonti. Effetto collaterale di questi riposizionamenti: la sinistra, o meglio il Pd, sta perdendo ogni riferimento nel mondo finanziario. C’è chi vede Massimo D’Ale - ma come sostenitore della nuova centralità di Tremonti (i due dialogano spesso, anche nei seminari dell’Aspen Institute presieduto dal ministro). E D’Alema, via Bassanini, sosterrebbe la centralità della nuova Cassa depositi e prestiti tremontiana. Ma, al netto dei retroscena, restano i dati di fatto: Bazoli è più vicino a Tremonti che al Pd, Cesare Geronzi (presidente di Mediobanca) è al centro di mille partite ma tutela la pace armata con Bazoli e mantiene il suo ruolo di garante dei rapporti tra Silvio Berlusconi e la grande finanza, mentre sul Monte de’ Paschi si allunga sempre più l’ombra di Francesco Gaetano Caltagirone, vicepresidente e primo azionista privato, che non è certo vicino al Pd.