Giovanni Russo, Corriere della Sera 09/03/2010, 9 marzo 2010
IL REPORTER E LA PSICOANALISI
Con Alfredo Todisco, scomparso ieri all’età di novant’anni, ci eravamo conosciuti al «Mondo» di Mario Pannunzio, dove era arrivato nel 1949, insieme con Manlio Cancogni e Giancarlo Fusco, dall’«Europeo» di Arrigo Benedetti, nel quale aveva condiviso la stagione luminosa di Camilla Cederna, Emilio Radius e Raul Radice. Si era fatto lì le ossa e aveva appreso lo stile dell’inchiesta giornalistica, con articoli aderenti alla realtà, ma anche rispettosi di un italiano impeccabile. Con Giancarlo Fusco e con lui si trascorrevano piacevolissimi momenti, in cui ambedue facevano a gara a rievocare personaggi ed episodi spesso molto divertenti e, sospetto, non sempre veri.
Nato a Melfi in Basilicata nel 1920, era cresciuto a Trieste ed era riuscito a sposare la tenacia lucana con il carattere di questa città ai confini della Mitteleuropa. Lì aveva stretto un rapporto di ammirazione e di amicizia con Umberto Saba, di cui conosceva a memoria e spesso recitava le poesie. Naturalmente, l’altro maestro cui si ispirava era Italo Svevo.
A Roma, aveva cominciato a collaborare con «Il Mondo» con inchieste che attrassero subito l’attenzione di Pannunzio, tra le quali ebbero una notevole eco quella sui gesuiti, intitolata «Il gesuita moderno», e quella sulla massoneria. Inoltre scriveva colonnine di costume.
Più tardi divenne corrispondente da Mosca per la «Stampa», senza abbandonare però «Il Mondo»: aveva intuito la crisi del sistema sovietico e il bovarismo della nomenklatura. Nello stesso tempo, pur mantenendo i suoi interessi giornalistici, aveva ripreso a coltivare la sua vocazione letteraria, che si era già manifestata nel 1949 con il breve romanzo Irene in Africa. Dal ”72, riprese a scadenza quasi regolare a pubblicare prima con Rizzoli poi con Mondadori altri romanzi, che sono indagini anche psicologiche sulle passioni amorose e con un fondo erotico, quali Il corpo. Storia naturale di una passione, Un seduttore pentito e ultimo, sul filo di un ambiguo erotismo, La bambinaia. Nei suoi romanzi è presente l’esperienza psicoanalitica (era legato al padre della psicoanalisi in Italia, Cesare Musatti, di cui teneva a casa una fotografia con dedica), che costituisce l’elemento più originale del suo romanzo più importante, Rimedi per il mal d’amore, che fu un evento nel paesaggio della narrativa italiana, e nel quale si presenta come erede legittimo della cultura triestina, fondendo l’aspetto letterario con la riflessione psicoanalitica e rifacendosi al mito dell’androgino. In lui la psicoanalisi si confronta con le testimonianze letterarie e filosofiche da Molière a Georges Bataille, da Arthur Schopenhauer a Platone, prova della sua solida cultura classica.
Per il «Corriere della Sera» condusse importanti inchieste all’estero, di cui uno dei frutti migliori è il suo Viaggio in India, uscito quando anche Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini pubblicavano i loro reportage, con i quali regge molto bene il confronto. Nel «Corriere», insieme con Antonio Cederna, portava avanti la battaglia per la difesa dell’ambiente e del paesaggio. Fino a pochi anni fa, era stato anche un protagonista televisivo nei programmi di Maurizio Costanzo, creando un feeling con il pubblico che ne apprezzava la capacità di dialogo e che era colpito dal suo spirito anticonvenzionale e dagli aneddoti della sua vita di giornalista.
Va sottolineata infine la sua cura per la lingua, nella quale può essere paragonato a un grande maestro del giornalismo come Paolo Monelli.
Giovanni Russo