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 2010  marzo 09 Martedì calendario

PADRE SUICIDA DOPO IL FIGLIO. RIMORSO PER UN RIMPROVERO

«Dimora nel cuore un miracolo chiamato amicizia. Nadir Gismondi sempre nel nostro cuore. 1986-2009. Amici e colleghi». Nella fotografia scattata il 4 dicembre alla festa per santa Barbara, la patrona del corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, il comandante provinciale di Imperia, Vincenzo Giordano, consegna la targa a Ivan Gismondi, 54 anni, capo reparto, pompiere dal 1976 e padre di Nadir. Un ricordo, uno in più: ecco cosa gli restava di suo figlio. E forse il rimorso per quell’ultimo rimprovero, un giorno di otto mesi fa.
Ventotto giugno 2009: Nadir Gismondi viene fermato dai carabinieri alle 5.30 del mattino in piazza Calvi mentre guida verso casa con un livello di alcol nel sangue poco superiore ai limiti, 0.7 quando il massimo è di 0.5. Una sciocchezza, due sorsi di birra. La multa è di 258 euro, i militari di pattuglia conoscono il padre e lo chiamano. «Io porto a casa l’auto – dice Ivan Gismondi a suo figlio – tu vai a piedi, così pensi alla scemenza che hai fatto. Poi ne riparliamo». Invece non si parleranno mai più. Nadir entra in casa, ha una pistola Glock calibro 9 perché ogni tanto va al tiro a segno, la prende e si spara; la madre sente un rumore strano, pensa che il ragazzo abbia sbattuto la porta, va in camera e lo trova in una pozza di sangue: «Corri – chiama il marito – Nadir è caduto e ha picchiato la testa».
 l’inizio di una tragedia che si è conclusa solo l’altro ieri. Domenica sera la madre di Nadir è entrata nella caserma di via Strato, sede del comando provinciale dei Vigili del Fuoco di Imperia, e ha visto il cadavere del marito: è svenuta e adesso è ricoverata in ospedale. Ivan Gismondi si è ucciso otto mesi dopo suo figlio, impiccandosi in una delle stanze riservate ai capi reparto quando mancava poco alla fine del turno.
«L’ha trovato uno dei nostri, ha provato a rianimarlo ma aveva l’osso del collo spezzato», racconta un collega più giovane in piedi nell’androne vicino a un vecchio fuoristrada rosso, una giardinetta in esposizione di quelle che il corpo usava fino a qualche anno fa. Dice che lo chiamavano «Gimbo» e gli volevano bene. Era un vigile del fuoco grande e grosso: «Il fisico perfetto per gli interventi». Appassionato di arti marziali, portava la divisa da 34 anni. Era uno esperto, capace, uno di cui ti fidavi. Coordinava il lavoro delle squadre di Imperia, Sanremo e Ventimiglia. La procura della Repubblica di Imperia ha disposto l’autopsia e aperto un fascicolo sulla sua morte. L’ipotesi di reato è istigazione al suicidio, ma quello del sostituto procuratore Ersilio Capone è un atto dovuto, un provvedimento tecnico, perché i motivi del gesto di «Gimbo», in città, li conoscono tutti. I vicini di casa, in via Santa Lucia, piangono una famiglia distrutta e ricordano un uomo «disponibile e generoso, ma sconvolto dalla tragedia del figlio».
Nadir non è arrivato a compiere i 23 anni. L’estate prima di morire aveva fatto il bagnino alla spiaggia di Borgo Foce, era stato un bravo studente, amava le moto, e voleva diventare vigile del fuoco come suo padre, il suo modello. Aveva iniziato facendo il volontario, o il «discontinuo» come si dice in gergo: veniva chiamato in caserma quando c’era bisogno. Pochi turni all’anno, ma abbastanza per coltivare il sogno di vincere il concorso, entrare a far parte del corpo. Quando si è sparato hanno detto: temeva che quella macchia, guida in stato di ebbrezza, pregiudicasse tutto; temeva di aver deluso suo padre.
Al funerale la bara del ragazzo è entrata in chiesa sulle spalle di sei vigili del fuoco. Poi il padre ha chiesto di rimanere a casa per un po’. Da mesi, però, era tornato al lavoro; rientrato nei turni, era stato anche in Abruzzo, sui luoghi del terremoto. Fuori sembrava normale, dentro non aveva mai più ritrovato la pace. «Questo è un dramma personale – dice il comandante Giordano – ma noi allestiremo la camera ardente di Ivan Gismondi in caserma, e il suo corteo funebre partirà da qui».
Mario Porqueddu