Paolo Valentino, Corriere della Sera 09/03/2010, 9 marzo 2010
FRIEDMAN IL LIBERAL SCOMMETTE SUL FUTURO: «E’ UN PAESE NUOVO»
«Detto tutto ciò che si doveva dire, fatto ogni distinguo, il fatto vero è che l’Iraq sia riuscito a tenere due libere elezioni in cinque anni, sicuramente macchiate da violenze, ma sempre libere elezioni. Non dobbiamo mai e poi mai sottovalutare l’importanza di questo fatto, nel contesto della storia del Paese e della regione. un fatto enorme, fisicamente e simbolicamente».
Il premio Pulitzer Tom Friedman, editorialista del New York Times e guru della globalizzazione, fu uno dei liberal americani che appoggiarono la guerra in Iraq. E non se n’è mai pentito, anche se non ha mai cessato di mettere a nudo e criticare duramente le bugie e gli errori dell’Amministrazione Bush, come non ebbe difficoltà ad apprezzarne la correzione di rotta che portò al rilancio del 2008 e alla progressiva stabilizzazione del Paese.
E anche oggi, Friedman si conferma un ottimista senza illusioni sul futuro dell’Iraq: «Sicuramente non dobbiamo neppure sottovalutare quanto sia difficile passare dal voto al governo democratico e alla costruzione di un esecutivo che riesca a far progredire la società. Oggi sappiamo che gli iracheni possono essere elettori. Si tratta di capire se possano essere cittadini e se i loro leader sapranno essere statisti. Personalmente sono pronto a scommettere di sì».
Ma quanto è reale il pericolo, dal quale molti mettono in guardia, che l’Iraq scivoli verso un regime autoritario?
«Ogni cosa è possibile, inclusa una svolta autoritaria, la paralisi o il collasso. Non possiamo escludere nulla».
Ricapitoliamo: 13 miliardi di dollari, 4400 americani uccisi, 100 mila iracheni morti, ne valeva la pena?
«Non spetta a me dirlo. Io sono stato favorevole alla guerra e in quanto contribuente, ho pagato una parte del costo in denaro. Ma non ho pagato alcun prezzo fisico o personale, come tanti altri americani. una domanda di fronte alla quale taccio per umiltà. Ripeto, non spetta a me rispondere, ma a chi ha pagato quei prezzi e agli storici del domani. Posso dire questo però: si può argomentare che in Iraq non sia accaduto nulla che giustifichi quel prezzo. Ma si può anche argomentare il contrario, ci sono cose importantissime che sono successe e stanno succedendo, le elezioni sono sicuramente tra queste».
Se c’è un merito per quanto sta accadendo, a chi spetta?
«Anche qui, è una risposta ambivalente: a Bush spetta una parte del merito, ma anche molte critiche per i tanti, troppi errori commessi. Ne spetta agli iracheni, che però si sono anche mostrati incapaci di risolvere i loro problemi interni. Ambivalente è questa realtà». E questa Amministrazione? «Ha fatto un buon lavoro, evitando di venire immischiata nel processo interno, ma dando gli impulsi decisivi nei momenti critici e spingendo verso i compromessi necessari».
Quali devono essere i prossimi passi degli Stati Uniti?
«La domanda cui dobbiamo rispondere è la stessa che in Afghanistan: possiamo uscirne e sapranno gli iracheni mettere insieme una costruzione politica e sociale democratica sostenibile? Il nostro compito è far di tutto per aiutare questa prospettiva. Ma non ci dobbiamo illudere neppure per un secondo che ciò che sta accadendo in Iraq non sia importante per quanto accade in Iran. Gli sciti persiani dell’Iran guardano (con senso di superiorità) oltre il confine, dove però vedono gli sciti arabi iracheni tenere libere elezioni, mentre loro hanno dovuto scegliere da una lista predigerita di candidati. un esempio dall’impatto potenziale immenso. Che siamo stati pro o contro la guerra in Iraq, credo sia tempo di concentrarsi su ciò che conta».
Paolo Valentino