9 marzo 2010
Pietro Vanacore detto Pietrino, 77 anni. Pugliese di Sava, noto alle cronache perché era il portiere del palazzo romano di via Poma dove fu accoltellata, il 7 agosto 1990, Simonetta Cesaroni, per quel delitto fu imputato, arrestato e poi liberato
Pietro Vanacore detto Pietrino, 77 anni. Pugliese di Sava, noto alle cronache perché era il portiere del palazzo romano di via Poma dove fu accoltellata, il 7 agosto 1990, Simonetta Cesaroni, per quel delitto fu imputato, arrestato e poi liberato. Dopo la pensione s’era ritirato con la moglie Giuseppa De Luca detta Pina, 67 anni, a Monacizzo, frazione di Torricella in provincia di Taranto, dove conduceva un’esistenza oscura in una casetta con le persiane quasi sempre abbassate, e dove i compaesani lo giudicavano «buono, mite, gentile, ma con la tristezza nel cuore», «da quando gli era capitata quella tragedia a Roma era difficile vederlo sorridere davvero». Venerdì 12 marzo, con la consorte e il figlio Mario, doveva essere ascoltato a Roma, come teste, nel processo Cesaroni ancora in corso. La mattina di martedì 9 marzo come d’abitudine uscì di casa, comprò le sigarette, prese un caffè con gli amici «insistendo come sempre per pagare il conto», quindi andò al panificio e li stupì la commessa Stefania perché, «oltre alla solita pagnotta di grano duro, ben cotta, si fece incartare anche una zeppola alla crema». Quindi andò nel garage di casa sua, prese una corda e una boccetta di Paraquat, potente anticrittogamico usato in agricoltura come diserbante, salì sulla Citroex Cx di colore grigio, guidò fino a Torre Ovo di Torricella, mandò giù il veleno, si legò una corda di venti metri a un albero, l’altro capo lo assicurò a un albero in modo che il suo corpo non finisse in fondo al mare, si sedette sugli scogli e dopo un paio d’ore, quando sentì che il veleno l’aveva quasi ucciso, si lasciò cadere nell’acqua a faccia in giù. Tre biglietti scritti a pennarello, uno sul tergicristallo, uno nell’auto, uno nel garage di casa sua, con queste parole: «20 anni di sofferenza e sospetti portano al suicidio. Lasciate almeno in pace la mia famiglia»; «Senza nessuna colpa, né mia né della mia famiglia, ci hanno distrutti nel morale, nell’immagine e tutto il resto. Lo porteranno sulla coscienza». L’avvocato Paolo Loria, difensore di Raniero Busco, sotto processo per l’omicidio di Simonetta Cesaroni: «La morte di Vanacore è troppo vicina alla scadenza processuale per non essere collegata. Lui ha vissuto con rimorso sulla coscienza questa storia, e non perchè fosse l’autore dell’omicidio, ma perché sapeva. Evidentemente, però, non poteva parlare neanche a distanza di anni. Non se l’è sentita, in sostanza, di affrontare i giudici e gli avvocati in aula». Verso le 10 di mattina di martedì 9 marzo sul lungomare di Torre Ovo di Torricella, in provincia di Taranto.