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 2010  marzo 07 Domenica calendario

LA SPAGNA DI CERCAS: «FRIVOLI E DEPRESSI MA CI RIALZEREMO» – I

segni dei tempi sono nefasti. Al largo di Barcellona un’onda anomala alta dodici metri ha semidistrutto una nave e affogato due croceristi. L’uragano Xynthia ha troncato la siccità e la discussione al Parlamento catalano sull’opportunità di deviare il corso dell’Ebro; in compenso si è acceso un aspro dibattito sull’abolizione delle corride. Il Papa verrà a novembre a inaugurare la Sagrada Familia, data per finita anche se in realtà mancano dieci torri su diciotto; metafora di un Paese interrotto, illuso dal boom dell’immobiliare e oggi segnato da migliaia di gru inoperose. Il governo di sinistra vuole mandare gli spagnoli in pensione a 67 anni. Arenys de Munt, piccolo villaggio catalano, è stato il primo a indire un referendum sull’indipendenza da Madrid: 95% di sì; subito decine di municipi l’hanno imitato. Sono arrivati i numeri del 2009: l’Andalusia ha un tasso di disoccupazione del 26%, come la Striscia di Gaza; però il record del crollo del pil è della Catalogna, con il 4,71%. Ma la notizia peggiore per i catalani è che, per la prima volta nella storia, Madrid è più ricca di Barcellona; la regione della capitale ha prodotto il 18,71% del pil (211.175 milioni di euro), contro il 18,68%. Il sesto anniversario dell’11 marzo, la strage islamica alla stazione Atocha che ha cambiato la storia di Spagna, non potrebbe arrivare in un momento più difficile.
«Eppure io sono ottimista. I nostri nonni hanno conosciuto la guerra civile e la fame degli Anni ”40. I nostri genitori hanno costruito la democrazia. Oggi i nuovi spagnoli sinora viziati dalla vita, figli della libertà e della ricchezza, debbono affrontare la grande crisi. ilmomento di mostrare la nostra tenuta morale. Possiamo ancora farcela a salvare il nostro Paese». Javier Cercas è il più importante scrittore civile spagnolo. Con il long-seller mondiale Soldati di Salamina ha raccontato la guerra civile attraverso la storia di un «cattivo», Sánchez Mazas, fondatore della Falange: «Non ho alcuna simpatia per il mio personaggio’ dice ora ”. Anche se l’eroe della mia famiglia è un falangista, mio zio materno Manuel Mena, cui è dedicata una via di Ibahernando, il villaggio dell’Estremadura dove sono nato, so bene che i repubblicani avevano ragione e i franchisti torto. Però i franchisti non erano demoni; erano uomini come me e lei. Non esistono due Spagne. Esiste la Spagna». L’unità nazionale è il tema di fondo del nuovo libro politico di Cercas, Anatomía de un instante, che qui ha venduto mezzo milione di copie e quest’estate uscirà in Italia, da Guanda. «Racconto il 23 febbraio 1981, il giorno del golpe di Tejero. Da voi passò l’immagine un po’ ridicola del militare con il tricorno. Ma non fu un golpe da operetta; stava per riuscire. Lo fermò il re, che però commise molti errori: indusse Adolfo Suárez alle dimissioni e parlò troppo con i militari, coinvolgendoli impropriamente nella politica». Racconta Cercas che furono solo tre i deputati che, quando Tejero e i suoi entrarono in Parlamento con le mitragliette spianate, non si gettarono sotto gli scranni. «Il premier uscente, Suárez, un ex falangista, rimase seduto. Il suo vice, Manuel Gutiérrez Mellado, militare franchista, restò in piedi. Santiago Carrillo, leader storico del comunismo spagnolo, continuò a fumare. Nessuno dei tre era un democratico; ma furono loro a salvare la democrazia, tradendo il proprio passato. Anche Etica del tradimento sarebbe stato un buon titolo».
La Spagna del 1981, spiega Cercas, era un Paese depresso, «deluso dal cattivo funzionamento del nuovo Stato». Un po’ come oggi. «La Spagna ha cambiato umore. passata dall’euforia alla depressione in pochi mesi. L’economia tirava, infatti annunciavamo il sorpasso sull’Italia. Rafael Nadal era il numero 1 nel tennis. Fernando Torres ci faceva vincere gli Europei di calcio, battendo Italia e Germania, e si imponeva come capofila di una nuova generazione di spagnoli alti e biondi, come il cestista Gasol. Baltazar Garzón era il giudice più giusto del mondo. Ferran Adrià il miglior cuoco. Pedro Almodóvar il regista più grande. E Zapatero uno statista a metà tra Roosevelt e Pericle, speranza della sinistra europea. In un attimo, è cambiato tutto. L’economia è crollata. Nadal si è rotto. Torres fatica. Garzón è sotto accusa nella sua stessa categoria, ed è un peccato: la Spagna gli deve molto, anche se ha un ego grande come la Rambla e si è messo in testa di processare Franco da morto. Adrià si è preso tre anni di ferie. Almodóvar ha fatto un film, Los abrazos rotos, inguardabile. E Zapatero ha svelato il proprio bluff».
Eppure lo scrittore è davvero ottimista. «Non eravamo grandi prima, non siamo piccoli adesso. L’unità della Spagna non è in discussione. Perché oggi la Spagna è una». Qui a Barcellona non si direbbe: le scritte sono ormai quasi tutte in catalano, la lingua diventa dirimente pure nei concorsi pubblici, negli ospedali si assumono medici perché dicono «adeu» invece di «adios»… «Ma Barcellona non èmai stata così simile al resto del Paese – sostiene Cercas ”. Quand’ero ragazzo, ogni estate mio padre ci portava in Estremadura e ci diceva: "Fin dove troverete i bagni puliti, è Catalogna. Al primo bagno sporco, comincia la Spagna"». Oggi i bagni sono limpidi dappertutto. un simbolo importante. L’idea ottocentesca della Catalogna come ponte tra la Spagna e l’Europa, ripresa dal grande Pujol, non ha più ragione d’essere. I nuovi spagnoli sono più istruiti e aperti al mondo delle generazioni precedenti. La questione linguistica esiste; ma chiunque sappia il castigliano capisce il catalano, io stesso lo parlo con mia moglie Mercé. I baschi non ne possono più dell’Eta, l’unica mafia con giustificazioni ideologiche, e per la prima volta hanno mandato i separatisti all’opposizione. E il presidente della Catalogna è un andaluso», il socialista José Montilla, che in autunno si gioca la riconferma nelle urne. Zapatero invece ha davanti a sé ancora due anni, ma si regge su una fragile maggioranza in cui baschi e catalani sono determinanti.
«Io ho votato Zapatero ma l’ho sempre trovato frivolo, leggerino. Lui del resto non ama gli scrittori. Anche se è quasi mio coetaneo – Cercas è del ”62, Zapatero del ”61 – non ci siamo mai conosciuti, e non ha buoni rapporti neppure con Savater, che resta il nostro intellettuale più importante, come Eco eMagris in Italia. Ma per Zapatero gli intellettuali sono Antonio Banderas, Penélope Cruz, Javier Bardem, Miguel Bosé e ovviamente Almodóvar, che lo adorano. Il premier ha affrontato la crisi molto male, negandola all’inizio, rimuovendola poi con la cacciata di Solbes dal governo. Ora dovrebbe avere il coraggio di proporre all’opposizione un patto come quello della Moncloa, quando nel ”77 tutti i partiti trovarono un accordo per la salvezza della Spagna. Servono riforme impopolari, a cominciare da quella delle pensioni, che nessun partito può fare da solo. La nostra generazione è chiamata alla prova della vita; se fallisse, sarebbe imperdonabile. Purtroppo il rivale di Zapatero, Rajoy, è un uomo limitato, senza visione. Invece mi piace molto il sindaco di Madrid, Gallardón: il leader naturale della nuova destra, anche se molto combattuto nel suo partito».
Cercas non vede una caduta imminente di Zapatero perché, dice, «la Spagna è sazia di tragedie. Da quando esiste la democrazia, l’alternanza è sempre stata segnata dalla violenza. Suárez cade con un golpe. Gonzáles con una congiura mediatica e lo scandalo del Gal, gli squadroni della morte anti-Eta. Aznar con i 191 morti dell’11 marzo 2004». Spiega lo scrittore che la Spagna ha elaborato una memoria fallace di quel lutto: «La gente pensa sia colpa di Aznar. Che ha molte responsabilità, ma non quella. Gli islamisti radicali non ce l’hanno con la destra; ce l’hanno con tutti noi. Non sopportano l’idea che possiamo essere felici, bere vino, fare l’amore. La Spagna non ha ancora realizzato di essere divenuta per un giorno, sei anni fa, campo di battaglia di una guerra planetaria, dichiarata dall’islamismo al mondo. Nichilismo puro». Anche questo è segno di una democrazia ancora fragile, di un’unità non ancora perfetta, ma tutto sommato salda: «La crisi economica è seria, il crollo dell’immobiliare si incrocia con quelli della finanza e del turismo, Krugman ci dà per spacciati. Ma magari vinciamo i Mondiali di calcio e cambiamo di nuovo umore». E comunque Cercas è contrarissimo all’abolizione della corrida: «La più antica arena di Spagna è a Olot, qui in Catalogna. Senza corrida, i tori da combattimento sarebbero estinti da tempo. Lo dico da figlio di veterinario e da lettore di Coetzee: tra le migliaia di animali che uccidiamo ogni giorno, il toro ha il destino invidiabile di morire combattendo. O di vincere, come Isleño, che uccise Manolete e divenne un eroe. Le élite catalane non vogliono la corrida perché la pensano una cosa spagnola. Non è così. La corrida è la prova che gli spagnoli si assomigliano tra loro più di quanto loro stessi pensino».
Aldo Cazzullo