Giuseppe Scaraffia, Il Sole-24 Ore 7/3/2010;, 7 marzo 2010
RIVE GAUCHE CARTOLINE DI IERI SGUARDI DI OGGI
Prima di diventare il villaggio degli intellettuali impegnati, Saint-Germain aveva avuto una lunga storia. Nell’Ottocento era stato il quartiere dell’aristocrazia che faceva il broncio al nuovo regime. Poi era stato il regno della destra monarchica. Fu solo negli anni Trenta del Novecento che i primi drappelli della nuova popolazione cominciarono ad affacciarsi sulla scena, fin da allora divisa tra i due principali caffè di Saint- Germaindes- Prés: il Flore e i Deux Magots. Anche se la clientela si assomigliava e a volte coincideva, i Deux Magots contavano anche su avventori più ricchi e sugli stranieri di passaggio. Picasso portò i suoi amici prima al Deux Magots, poi si trasferì al Flore. Ma fu nel primo che venne attratto dalla bruna bellezza di un’artista, Dora Maar. L’aveva osservata togliersi lentamente i guanti neri per iniziare uno strano gioco: colpiva con un coltello affilato lo spazio tra un dito e l’altro della piccola mano, senza fermarsi quando si feriva.
Nel 1935 era approdata ai Deux Magots l’eccentrica tribù dei surrealisti.Gli adepti si riunivano, secondo un rigido orario. Chi arrivava in ritardo doveva trovare una scusa efficace.
Il centro indiscusso era un un giovanotto dallo sguardo insieme penetrante e dolce, André Breton. Vent’anni dopo, i surrealisti continuavano a ritrovarsi agli stessi tavoli, ma i toni dei dibattito si erano smorzati e Breton fumava quietamente la pipa, pronto a inchinarsi profondamente ai nuovi arrivati.
Meno mondano e un po’ meno caro,il Flore attraeva chi, come Simone de Beauvoir e Camus, abitava in stanze non riscaldate e preferiva alla solitudine la calma di quel grande locale. Lì i camerieri sapevano che spesso una tazzina di caffè sarebbe stata l’unica consumazione, presto sostituita da un calamaio, di quei silenziosi clienti. Quando Sartre e Simone de Beauvoir erano ancora due sconosciuti passavano al Flore tutto il giorno. Oltre a lavorare, si impegnavano con gli amici in lunghe discussioni da cui sa-rebbe nato l’esistenzialismo. Dopo cena tornavano al Flore, pronti ad accogliere chiunque purché sapesse inserirsi nel dibattito.
Durante la guerra i tedeschi potevano affacciarsi ai Deux Magots, ma mai al Flore. «Sono nata in una sera del marzo 1941 a un tavolino del Café de Flore», scriverà l’attrice Simone Signoret.
Yves Montand era molto apprezzato perché, grazie alle sue origini, era quanto di più vicino a un proletario avessero mai visto al caffè. Nel giugno 1944, «Parigi assolata non era mai stata così dolce come all’epoca dello sbarco – scrive un testimone – le terrasses dei caffè erano piene di gente e sul boulevard Saint-Germain circolavano ragazze in bicicletta che facevano svolazzare le gonne come orifiamme. Quella dolcezza assomigliava troppo all’indifferenza». In pieno contrasto, la banda del poeta Prévert, soprannominata Gruppo Ottobre, improvvisava spettacoli, quando non faceva scoppiare risse con i pochi esponenti della destra rimasti. I proiettili migliori erano le uova sode, con cui lo scultore Giacometti era solito cenare.
Con la pace a Saint-Germain esplose l’esistenzialismo. Malgrado pochi avessero davvero studiato Sartre, quel cocktail di impegno e lucida disperazione era perfetto per dare una patina intellettuale alle gioie del dopoguerra. Da un momento all’altro Sartre e Simone de Beauvoir divennero famosi. Il loro ingresso era salutato da un mormorio di ammirazione. Meno reverenti, i giornali indugiavano sullo strabismo e sulla bruttezza del padre dell’esistenzialismo, che arrivava in un montgomery giallastro pieno di macchie e di libri e giornali che sbucavano dalle tasche. Poi, "rincuorato" da un paio di cognac, accendeva la pipa e si metteva all’opera. In quell’euforia, i liquori stavano subentrando ai caffè e agli aperitivi. Una volta era arrivato Hemingway ubriaco e aveva stretto il piccolo Sartre tra le braccia, dicendo: «Io sono soltanto un capitano. Lei è un generale!».
La sera gli esistenzialisti sciamavano verso le «caves», le cantine del quartiere, dove facevano l’alba ballando e bevendo.«Pretendevamo di cambiare il mondo di giorno e di scambiarci idee di notte». Il più amato era il Tabou, 15 metri per 8 annebbiati dal fumo. Il re della caves era Boris Vian, bravo scrittore e ottimo trombettista, che aveva portato tutte le vedettes del jazz in quella cantina. L’alternativa era il Club Saint-Germain, dove era spuntata una ragazza pallida tutta vestita di nero, Juliette Greco. Riandando a quelle notti tumultuose, Simone de Beauvoir concludeva: «Dovevamo dimenticare e dimenticare che dimenticavamo ».