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 2010  marzo 05 Venerdì calendario

LA CINA RIDUCE LE SPESE MILITARI

Per i cinesi l’Esercito popolare di liberazione (Pla) è il cuore della Cina, l’incarnazione in ferro e fuoco del partito comunista, della sua presa del potere, della trasformazione sociale ed economica del Paese sotto Mao, e anche dopo. Ma è anche il centro delle preoccupazioni per gli stranieri che temono la chimica volatile del patto soldati-partito, alimentato dalle casse dello Stato sempre più ricco.
 un segnale conciliante al mondo che ieri Pechino abbia annunciato per il 2010 un aumento di bilancio del Pla di solo 7,5% dopo circa un decennio di aumenti annuali oltre il 10%. La creazione di un esercito forte non appare una priorità. Ma è scoppiato un dibattito. Secondo il libro «Sogno cinese» (Zhongguo meng) del colonnello superiore Liu Mingfu la Cina dovrebbe invece accelerare per diventare la numero uno, con le forze armate più potenti del mondo, per spodestare gli Usa come «campione» globale. L’ufficiale, con un grado equivalente a un nostro generale di brigata, non si fa illusioni sulle conseguenze della realizzazione di questo sogno: potrebbe allarmare Washington e portare a una guerra nei prossimi 10-20 anni, nonostante le speranze di Pechino per un’ascesa pacifica, come prescrive la dottrina ufficiale.
Il volume è estremamente esplicito, più di molti libri nazionalisti usciti negli ultimi due anni, dopo che la crisi economica americana ha all’improvviso fatto avanzare di molti gradini la posizione cinese nella politica internazionale. Liu trasforma per la prima volta in affermazione un dubbio nutrito in silenzio da anni da tanti intellettuali cinesi: «Se anche la Cina diventasse capitalista come e più degli Usa, l’America farebbe comunque di tutto per contenerla». La rivalità non è quindi una questione di ideologia, sistema politico o economico, ma una variante moderna del vecchio gioco a somma zero della geopolitica ottocentesca. Perciò la Cina deve approfittare delle difficoltà americane per conquistare la prima posizione.
La voce di Liu non è isolata ma neppure senza opposizione. Due anni fa, all’epoca delle Olimpiadi, Wang Xiaodong e altri autori pubblicarono il controverso «La Cina non è contenta» (Zhongguo bu gaoxin) che chiedeva un ruolo maggiore nell’arena internazionale. Il dibattito produsse altri libri, ma non tutti cantavano le lodi del nuovo nazionalismo. Alcuni, facendo il verso al titolo scandaloso, dichiaravano che la Cina invece era contenta per lo sviluppo economico e il benessere materiale arrivati con le riforme. Anche oggi molti uomini d’affari, una delle forze che più spingono l’accelerazione economica voluta da Liu, scuotono la testa. «Alcuni cinesi si comportano come il Giappone negli anni ”80 – dice il dirigente di una grande banca ”. Allora Tokyo, intossicata dalla crescita economica credette nel libro-manifesto ”Il Giappone numero uno”, pensava di superare l’economia Usa, di comprarsi mezza America. E come è finita? Che il Giappone è entrato in una depressione che dura ormai da quasi 25 anni».
Per evitare questo destino il banchiere e tanti come lui pensano che bisogna mantenere la calma anche perché la capacità di evitare conflitti e guerre in 30 anni di riforme è stata la condizione per lo sviluppo. Il vero obiettivo per loro è rafforzare il G2 con gli Usa, non andare allo scontro. D’altro canto però trova molte simpatie l’appello di Liu a respingere con durezza l’America su questioni come la vendita di armi a Taiwan, l’incontro di Obama con il Dalai Lama, i diritti umani. Molti cinesi, anche moderati, credono sempre di più che Washington usi questi temi solo per creare difficoltà a Pechino e ostacolarne la crescita politica. Sempre meno cinesi credono che sia utile e giusto farsi fare prediche da un’America che ha creato tanti problemi. Un risentimento che all’estero viene visto solo come frutto della propaganda, ma i cinesi moderati insistono che dietro ci sia qualcosa di più profondo, che dà voce alle tesi di quelli come Liu.