Note: [1] Maurizio Maggi e Giovanni Steve, Lཿespresso 11/3; [2] Salvatore Tropea, la Repubblica-Affari&Finanza 1/3; [3] Paolo Griseri e Salvatore Tropea, la Repubblica 4/3; [4] Luigi Grassia, La Stampa 6/3; [5] Gianluca Paolucci, La Stampa 4/3; [6] An, 6 marzo 2010
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 8 MARZO 2010
«Guardiamo al futuro, lavoriamo sul mercato, andiamo fuori dall’Italia» ha detto il 10 febbraio Sergio Marchionne, amministratore delegato e presidente della Fiat. Maurizio Maggi e Giovanni Steve: «Erano passati pochi giorni da quando il gruppo torinese aveva annunciato di voler chiudere definitivamente lo stabilimento di Termini Imerese: 1.400 dipendenti e altri 2 mila lavoratori dell’indotto. A fine 2011, dopo 41 anni di attività, l’impianto siciliano cesserà di funzionare. E i lavoratori rimarranno senza impiego. Quanto alla Lancia Ypsilon, che si produce a Termini, Marchionne lo ha già detto: la nuova versione verrà realizzata in Polonia, inizio dei lavori previsto proprio per il 2011. Si andrà così a rimpolpare la lista di utilitarie fatte all’estero, confermando che la volontà di Fiat, al di là delle sbandierate intenzioni sulla valorizzazione del made in Italy, è quella di diventare sempre di più un gruppo internazionale». [1]
Dieci anni fa dagli stabilimenti italiani della Fiat uscivano 1,42 milioni di auto, nel 2009 solo 650 mila. Nonostante nel 2007 fosse stata presentata con una pubblicità televisiva dai toni fortemente nazionalisti, la nuova 500 viene interamente prodotta in Polonia, a Tychy. La caduta della produzione italiana dovrebbe arrestarsi nei prossimi anni, promettono dal Lingotto: mentre comunicava la chiusura definitiva di Termini Imerese, Marchionne ha annunciato che l’obiettivo del gruppo è arrivare nel 2012 a produrre in Italia 900 mila automobili. Intanto però Fiat continua ad allargare la sua presenza fuori dai confini nazionali. Maggi e Steve: «L’ultimo accordo è stato firmato con la russa Sollers. L’11 febbraio, alla presenza del premier russo Vladimir Putin, Marchionne ha annunciato la creazione di una joint venture paritetica per la produzione, su una nuova piattaforma Fiat-Chrysler, di ”Suv e autovetture del segmento C e D”». [1]
«La Fiat non lascerà Torino. Torino, per la Fiat, è il luogo dove siamo e dove staremo. Qui c’è il nostro cuore, qui c’è la nostra testa» ha detto John Elkann riecheggiando Marchionne secondo il quale «è impensabile una Fiat senza Torino». Il dubbio è sull’estensibilità della dimensione Torino alla dimensione Italia. Salvatore Tropea: «Se lo si chiede ai più avveduti tra quelli che hanno peso nella galassia Agnelli, la risposta è che ciò che conta è una Fiat più forte e in grado di stare tra i grandi dell’industria mondiale dell’auto. Una Fiat che è in America Latina, Polonia, Turchia, Serbia, Russia, Cina, India e anche negli Stati Uniti è assai diversa dalla Fiat in dimensione domestica che sul finire del secolo scorso stava sprofondando senza che nessuno corresse ai ripari. Questo spiega la sintonia degli ultimi cinque anni e l’autonomia che la Famiglia ha accordato a Marchionne». [2]
Una Fiat più presente nello scenario mondiale è più credibile sui mercati borsistici. Tropea: «In questa prospettiva, la Fiat meno italiana non costituisce un problema salvo i rapporti col sindacato e col governo che, peraltro, nel bene e nel male, da tempo non sono più quelli che intratteneva la Fiat dell’Avvocato e di Cesare Romiti. E poi, nel gioco delle deleghe e dei ruoli, questo è un affare che riguarda in parte Luca Cordero di Montezemolo in parte Marchionne. Semmai la questione si ripresenterà quando, ultimata la ”campagna acquisti” intesa come alleanze, l’ad del Lingotto imboccherà veramente la strada dello scorporo dell’auto. Ma questo è uno scenario che gli Agnelli, seppure nella non totalità degli eredi interessati alla questione, hanno già provveduto a prefigurarsi. E a quanto si sa essa non confligge con l’attuale conduzione di Fiat da parte di Marchionne». [2]
Se l’obiettivo è quello di sganciare dal gruppo il settore auto per collocarlo in Borsa, la Famiglia non potrebbe che trarne dei benefici. Tropea: «Conservare il controllo di una Fiat senza l’auto e per giunta in possesso di una quota consistente in un gruppo automobilistico da 5-6 milioni di vetture all’anno non è certo un affare in perdita. Ed è anche questa la chiave di lettura della loro posizione di fronte alla ”deitalianizzazione” della Fiat». [2] Partendo dalla scommessa di una Fiat-Chrysler da 5,5 milioni di vetture, mercoledì Marchionne ha disegnato al salone di Ginevra il nuovo perimetro del gruppo da qui al 2014. Paolo Griseri e Salvatore Tropea: «Ha cominciato a scoprire i vari pezzi del mosaico che renderà pubblico il 21 aprile prossimo con la presentazione dell’atteso piano strategico di integrazione tra Torino e Detroit. Col quale potrà finalmente mettere in atto lo spin off che solo il fallimento dell’annessione della Opel ha rimandato nel tempo». [3]
Quello della separazione dell’auto è un tormentone che va avanti dalla scorsa primavera, quando Fiat, dopo aver messo la sua bandierina sull’americana Chrysler, era in trattativa con la General Motors per acquisire anche la Opel. [4] Gianluca Paolucci: «Era il 3 maggio del 2009 e quel giorno il gruppo emise una nota dove spiegava che ”Il cda ha dato anche il suo pieno appoggio all’iniziativa che sarà portata avanti nelle prossime settimane dall’ad, volta a verificare se vi siano i presupposti per l’integrazione in una nuova società delle attività di Fiat Group Automobiles, inclusa la partecipazione in Chrysler, e di General Motors Europe”. la prima volta nella quale il gruppo parla ufficialmente della possibilità dello spin-off dell’auto. Prima di allora, c’erano state le richieste dei grandi broker di Borsa, che indicavano questa strada come l’unica ”razionale” per il gruppo». [5]
Mercoledì si è avuta la conferma che lo spezzatino è ancora all’ordine del giorno. Andrea Malan: «Uno scorporo farebbe da preludio a una quotazione separata dell’Auto (compresa la partecipazione in Chrysler) e permetterebbe agli Agnelli di ridurre l’esposizione verso un settore troppo ciclico e rischioso. Non solo: nel caso in cui lo scorporo si accompagnasse a una nuova alleanza, soddisferebbe anche l’esigenza di rafforzare Fiat Auto collocandola in un gruppo più grande; un’esigenza comune ad altre famiglie dell’auto, come i Peugeot e i Quandt della Bmw. Non è un caso che lo spin off fosse la soluzione prevista già l’anno scorso nel caso di in cui le nozze a tre con Chrysler e Opel fossero andate in porto». [6] Paolucci: «Nel progetto di maggio, rimasto allo stato di ipotesi, sarebbe nato un gruppo da 80 miliardi di euro di ricavi, quotato in Borsa con Fiat Group, a sua volta quotato, in veste di azionista di controllo del polo dell’auto, da un lato, e di Iveco e Cnh dall’altro». [5]
L’idea dello spin off significa che gli Agnelli si preparano a dare l’addio all’auto? Massimo Mucchetti: « ancora presto per dirlo, ma questo è il significato dello spin off all’ordine del giorno del consiglio di amministrazione della Fiat del 21 aprile. Il legame della dinastia torinese con le quattro ruote dura da 110 anni. Ma dopo la fiammeggiante stagione di Vittorio Ghidella, conclusa in modo traumatico nel 1988, la Fiat Auto ha generato molte più perdite che profitti. Come dicono gli analisti, ha distrutto valore. Se si prenderà una decisione, sarà una svolta storica. Meglio: l’avvio di una svolta storica, perché separare Fiat Auto dal complesso industriale riunito sotto la Fiat Spa richiederà tempo e sapienza». [7]
Le modalità dell’operazione potrebbero essere varie. Andrea Malan: «Scissione o quotazione separata? Nel primo caso i soci di Fiat spa (compresa Exor, la holding degli Agnelli) diventerebbero azionisti diretti anche dell’Auto; nel secondo, Fiat spa manterrebbe una quota di maggioranza della controllata. Questa ipotesi sarebbe la preferita dalla famiglia e avrebbe l’ulteriore vantaggio di mantenere un cordone ombelicale con la capogruppo: una divisione auto completamente separata dovrebbe reggersi finanziariamente sulle proprie gambe e quindi ricevere una dotazione di capitale più che adeguata. Tra i potenziali problemi ”tecnici” ci sono le numerose emissioni obbligazionarie in essere: l’anno scorso fu l’opposizione dei bondholder americani a mandare a monte i piani di fusione di Italcementi con la controllata Ciments Français». [8]
Detto che con Fiat spa e Fiat Auto ciascuna per la sua strada è probabile che Marchionne andrebbe con la seconda, resta da chiedersi chi guadagnerebbe e chi perderebbe con lo scorporo. Mucchetti: «La separazione, non dimentichiamolo, deve essere sostenibile sul piano operativo. La cosa non è scontata. Per anni non lo sarebbe stata, perché Fiat Auto aveva un valore negativo. E tuttora restano due difficoltà: dove allocare la quota di debito dell’auto, se in capo alla casa madre o in capo alla nuova società; come togliere dalla Fiat Powertrain, che fa i motori anche per trattori e camion, la produzione dei motori per auto onde evitare conflitti d’interesse. Ma se fosse davvero sostenibile, la separazione sarebbe un affare sicuro per tutti i soci, grandi e piccoli. E forse anche per il paese. Gli Agnelli ormai sono convinti che l’auto sia un business troppo pesante per le loro spalle». [7]
Essendo «un’operazione meramente finanziaria, che non cambia di un centesimo fatturato e margini dell’auto, ma che potrebbe dare lo sprint al titolo (lo spezzatino piace)», secondo Alessandro Penati lo spin off beneficerebbe in primis Exor. Definendosi «una delle principali società d’investimento europee», la holding degli Agnelli dichiara 6 miliardi di attività in portafoglio. Penati: «Ma il mercato valuta le attività di Exor appena 3,6 miliardi, applicando uno sconto del 40%. E non da oggi: sono decenni che le holding Agnelli regolarmente valgono molto meno delle attività in cui investono. Evidentemente, non c’è grande fiducia nelle loro capacità di investimento. Exor è ancora troppo concentrata in Fiat (ai valori di mercato, 84% del suo attivo) per essere una ”società di investimento” credibile: o si fa l’investitore o si fa la holding di controllo». [9]
Dalla sua costituzione, il titolo Exor ha fatto peggio del titolo Fiat. Penati: «Segno che il resto degli investimenti non entusiasma. Come dar torto al mercato? Ha comprato Alpitour nel 2000, al picco secolare delle valutazioni azionarie; la prima società americana di servizi immobiliari nel 2007, al picco della bolla; Vision, un fondo hedge, nel 2008, alla vigilia della crisi finanziaria. Non sorprende dunque che sia tornato in auge il tormentone dello spin off dell’auto». [9] Giovedì l’ipotesi di scorporo ha spinto il titolo Fiat a un rialzo dell’1,79%, quello della Exor a un +2,82%. [10]