Alessandro Alviani, La Stampa 5/3/2010, 5 marzo 2010
GOODBYE LENIN? NO GRAZIE
Allora» e «un tempo». Nei discorsi di chi è rimasto a Wittenberge, una cittadina a metà strada tra Berlino e Amburgo, in quella che fino a 20 anni fa era la Germania dell’Est, le espressioni che tornano con più frequenza sono due: «allora» e «un tempo». «Allora» a Wittenberge sorgeva la fabbrica di macchine per cucire più moderna al mondo e il quadrante della torre dell’orologio nella zona industriale era più grande di quello del Big Ben. Quando parlano di «allora», però, gli abitanti di Wittenberge non si riferiscono a un secolo fa.
«Allora» sono gli Anni Ottanta del secolo scorso. «Allora» è tutto quello che si colloca prima del 1990, prima, cioè, che la riunificazione delle due Germanie si abbattesse come un’onda su questa località adagiata sull’Elba.
E «oggi»? Come si presenta oggi la vita di persone che da un giorno all’altro si sono ritrovate in un sistema completamente differente e hanno perso certezze, punti di riferimento e spesso anche il posto di lavoro? Se lo sono chiesti alcuni studiosi tedeschi che hanno scelto Wittenberge (da non confondere con la ben più nota Wittenberg, la «capitale» della riforma luterana) per un enorme progetto sociologico, qualcosa di simile all’esperimento tentato nei primi Anni Trenta del Novecento da Paul Lazarsfeld in un monumentale studio sui disoccupati di Marienthal (vicino a Vienna) diventato poi un classico della sociologia. Per quasi tre anni, dall’inizio del 2007 alla fine del 2009, 28 tra sociologi ed etnologi tedeschi hanno studiato da vicino la vita di Wittenberge, intervistato, osservato, partecipato direttamente alla vita della gente. Alcuni sono anche venuti a vivere qui. Obiettivo: capire come una città - non solo nell’ex Germania orientale - reagisce alla deindustrializzazione e cosa tiene insieme gli abitanti quando tutto intorno inizia a crollare.
I ricercatori, che hanno presentato ieri i risultati del loro progetto sul settimanale Die Zeit, non potevano trovare esempio migliore. Fino al 1990 a Wittenberge vivevano 40.000 persone; oggi, dopo che nei primi Anni Novanta sono state chiuse le poche attività industriali esistenti, a cominciare dalla fabbrica delle macchine per cucire appartenuta un tempo alla Singer, sono appena 19.000. E chi resta, specie tra i più giovani, va via alla prima occasione buona. In tal modo, con la scomparsa della Germania socialista, è venuto meno anche il senso del «noi» di socialista memoria. questo il risultato centrale dello studio. Oggi Wittenberge è divisa tra «vincitori» della riunificazione e «perdenti». E i due gruppi finiscono per separarsi anche fisicamente: i «vincitori» se ne vanno a vivere nei quartieri periferici; i «perdenti», quelli che ormai non hanno più un lavoro, restano nel centro città. Un centro città che cade a pezzi: ci sono strade in cui si incontrano solo palazzi crollati e un imprenditore affitta interi quartieri abbandonati all’industria cinematografica, che li usa come sfondo per film ambientati nel dopoguerra (14 le pellicole girate a Wittenberge dal 1990).
I cittadini hanno sviluppato comunque delle proprie strategie per resistere alla dura quotidianità e alla scomparsa dell’eterna attesa di un miglioramento suscitata dalla riunificazione. I lavoratori socialmente utili incaricati di pulire le strade, ad esempio, trovano così poca spazzatura che si portano l’immondizia da casa. Chi non ha lavoro, invece, si inventa occupazioni di ogni genere per dare una struttura alla propria giornata. Ad esempio discute dei prezzi della benzina, anche se non possiede un’automobile, o si dà al «discounting», la meticolosa pianificazione degli acquisti condotta studiando i volantini pubblicitari dei discount. Il consumo è diventato un «sostituto» della vita lavorativa e il discount un punto di ritrovo sociale, riassume il professore di sociologia Heinz Bude che ha partecipato alla ricerca. Impensabile fino a vent’anni fa nell’Est socialista. Come impensabile doveva essere la dichiarazione rilasciata durante l’esperimento agli studiosi da un’insegnante del liceo locale: «A scuola prepariamo i bambini al capitalismo».