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 2010  marzo 05 Venerdì calendario

AGLI UFFIZI CHE RIDERE, TUTTO ALLE COOP


A mettere le mani sugli Uffizi di Firenze sarebbero state la mafia e le Coop. La procura toscana esamina entrambi i percorsi, venuti alla luce nell’ambito delle indagini sugli appalti delle Grandi opere, e riunisce le strade nelle informative messe agli atti dei faldoni 23 e 24, depositati nei giorni scorsi al tribunale di Perugia che ne ha acquisito la competenza.
LE COOPERATIVE ROSSE
Il 21 gennaio scorso i carabinieri intercettano una conversazione tra l’avvocato Guido Cerruti e la collega Raffaella Di Tarsia. Il primo spera di accaparrarsi il conferimento dell’incarico di consulenza per gli Uffizi. «Sta buona», si sente, «che il Padre Eterno vede e provvede. Se portiamo a casa ”sta consulenza di Uffizi, abbiamo svoltato. Qui ci sono le cooperative che vengono fuori da tutte le parti. Stamattina le risate con Marina, le ho detto: ”Marì, se mi avessero detto le cooperative...” invece, invece è una apoteosi. Lo devo di’ a Mucci». Da qui si capisce che quell’appalto fa gola a molti e l’uomo a cui si riferisce il legale intercettato è Massimo Beltrami Mucci, «presidente del cda della Consortile ”Grandi Uffizi” e appartenente alla C.M.S.A (Legacoop, ndr)., cooperativa che partecipa il capitale sociale della consortile ”Grandi Uffizi” pari a complessivi euro 50.000,00», considerando l’alleanza con la C.C.C., il Consorzio cooperativo costruzioni di Bologna della Legacoop.
Quattro giorni dopo, gli investigatori considerano rilevante un’altra conversazione, quella tra l’architetto Elisabetta Fabbri e l’ingegnere Riccardo Miccichè, neo direttore dei lavori per il restauro degli Uffizi. La donna vuole sapere qualcosa sulle nomine dei tecnici. Miccichè spiega che «le uniche notizie che avevo ricevuto da Mauro erano queste... che era uno schema riepilogativo con una serie di nominativi. (...) Se non ho capito bene lui rientra oggi pomeriggio qui in ufficio, mentre per tutto il resto so che domani bisogna andare a Firenze. Per andare dall’architetto Pappagallo a farsi dare le chiavi e prendere la documentazione». La Fabbri vuole capirne qualcosa di più e chiede: «Ma questo vuol dire che viene nominato... cioè devo farla io la nomina?». L’ingegnere non perde tempo: «Sì, in funzione di questo schema sì», riferendosi allo schema che sostiene di avere visto in mano a Di Giovampaola. Lei è perplessa: « In quella nota ci sono dei problemi perchè quella nota dice che ci sono i funzionari della Direzione Lavori che sono esterni». Micciché annuisce e l’architetto trova una soluzione: «Questa lettera lui me la deve spedire e io preparo la nomina tua e di tutto il gruppo sulla base di quel che m’ha scritto ., dove c’era l’errore della Forleo».L’ingegnere Miccichè torna a essere citato dagli investigatori in un’altra informativa, che ricorda il suo pregresso incarico «alla Maddalena», ma i carabinieri scrivono anche che «a parte l’incarico ricoperto per i lavori alla Maddalena, come evidenziato dall’ingegnere Bentivoglio e dall’ingegnere De Santis», Miccichè «non appare essere munito di una particolare esperienza per condurre la direzione agli Uffizi come disposto il 27 novembre 2009».
COSA NOSTRA
Gli inquirenti evidentemente dispongono accertamenti e quello che ne esce fuori è che l’ingegnere «risulta aver ricoperto la carica di componente del cda della società Erbe Medicinali Sicilia srl con sede ad Agrigento». Dalle ulteriori verifiche si scopre che la società in questione «ha per oggetto l’attività di parrucchiere del donna, per uomo, per bambino, di manicure, pedicure, di massaggio, l’acquisto e la vendita di prodotti per parrucchieri e prodotti di bellezza in genere». Ad attirare l’attenzione, però, è la suddivisione delle quote dell’azienda di famiglia, delle quali dispone anche il fratello di Riccardo, Fabrizio Miccichè, «che ricopre la carica di responsabile tecnico dell’impresa operante nel settore degli appalti pubblici e denominata Giusylenia srl». A questo punto i carabinieri scrivono che «La Giusylenia, nell’ordinanza di custodia cautelare emessa il 3 maggio 2002 dal tribunale di Palermo, sia ritenuta inserita in un contesto criminale finalizzato alla gestione dei lavori pubblici sotto la gestione di esponenti inseriti nella cosa nostra agrigentina, quali Di Gati Maurizio e Licata Vincenzo, quest’ultimo favoreggiatore della latitanza a Cannatello (Ag) del noto Brusca Giovanni». L’episodio è stato confermato dallo stesso Brusca al pm Antonio Ingroia che lo interrogava. Così si è scoperto anche che un ”pizzino” di Bernardo Provenzano era finito nelle mani di quello stesso Licata legato a Miccichè.

Franco Bechis e Roberta Catania, Libero 5/3/2010