Luca Piana, L’espresso 4/3/2010, 4 marzo 2010
GRANDI MANOVRE GENERALI
Antoine Bernheim? Non ha mai amato Trieste. Quando arriva da Parigi, preferisce fermarsi a Venezia e sbrigare gli affari da lì... Al termine del suo secondo mandato da presidente delle Assicurazioni Generali, Bernheim, 85 anni, di aneddoti come questo ne ha collezionati parecchi. La distanza che separa Trieste dalle capitali della finanza mondiale, tuttavia, non sembra una ragione sufficiente per raffreddare gli appetiti sulla poltrona occupata dall’anziano banchiere francese.
Dopo settimane di manovre di avvicinamento, la decisione verrà formalizzata entro la fine di marzo e solo allora, al riparo dalle ultime mosse dei soci, si saprà con certezza chi comanderà sulla compagnia di Trieste. Una posizione cruciale. Non c’è nessuno che, in Italia, governi un simile agglomerato: una presenza diffusa in 65 Paesi diversi, un numero di dipendenti vicino a 84 mila, una mole di investimenti pari a 327 miliardi di euro, un patrimonio in gestione di 395 miliardi, una rete capillare di filiali che comprende numerosi paradisi fiscali con la loro riservatissima clientela. Tra gli investimenti, poi, si trova una serie di partecipazioni eccellenti, che contribuiscono a blindare gli assetti del capitalismo italiano (vedere il grafico nella pagina a destra). Dal puntello della compagnia dipende, ad esempio, il controllo che Marco Tronchetti Provera esercita sulla Pirelli o la presa della famiglia Benetton sulla holding delle autostrade Atlantia. Lo stesso si può dire per altre aziende, da Telecom Italia al colosso bancario Intesa Sanpaolo, dal quotidiano ’Corriere della Sera’ al progetto Citylife di Salvatore Ligresti. Se le Generali decidessero di ritirarsi da una o più società, non sempre redditizie, ne potrebbe venire una specie di terremoto, in grado di rovesciare le fortune di intere dinastie.
Visto un simile concentrato di interessi, non stupisce che, anche questa volta, le decisioni sulla poltrona di presidente siano state l’oggetto di manovre di potere, più che di un processo trasparente di selezione: "Dovrebbe essere fonte d’imbarazzo nazionale il fatto che un solo azionista di minoranza arrivi a decidere la leadership del maggior gruppo assicurativo italiano", ha scritto il quotidiano ’Financial Times’. Rilevando il ruolo decisivo che, nella partita, stanno giocando Mediobanca (titolare del 14,7 per cento del capitale) e in particolare Cesare Geronzi, il settantacinquenne presidente della banca d’affari. Mentre in molti gruppi internazionali la questione della successione è codificata per quanto possibile in prassi più o meno consolidate, per le Generali gli investitori sono stati tenuti al buio fino a poche settimane dalla nomina.
Così i salotti della finanza sono occupati da settimane a trovare una soluzione digeribile da tutti. Ci sono gli azionisti francesi di Mediobanca, guidati dal finanziere Vincent Bolloré, impegnati a preservare gli spazi di potere garantiti da Bernheim; c’è Mediobanca e ci sono gli italiani azionisti della banca d’affari o direttamente delle Generali (come il gruppo De Agostini, il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone e l’imprenditore Leonardo Del Vecchio), più o meno decisi a non perdere il ruolo ottenuto in questi anni. Mentre l’attenzione era assorbita dalle schermaglie sulle poltrone, però, a Trieste i problemi non sono mancati. "Quando tutto crolla, compra Generali e non te ne pentirai", era un tempo l’adagio degli operatori della Borsa di Milano. Durante l’ultima crisi, tuttavia, la strategia non sembra aver funzionato granché. vero che nei primi mesi dopo il fallimento della banca americana Lehman Brothers il titolo ha tenuto meglio di altri. Poi, però, l’incantesimo si è rotto. La prudenza che le Generali hanno sempre praticato nelle strategie d’espansione ha pagato solo fino a marzo 2009. Poi i maggiori concorrenti europei, la francese Axa e la tedesca Allianz, hanno recuperato lo svantaggio accumulato nel pieno della crisi e in alcuni momenti sono arrivate, in Borsa, a surclassare la compagnia triestina. Così, ora, i tre titoli viaggiano tutti su valori vicini all’80 per cento di quelli pre-Lehman.
Il confronto deludente è, in parte, spiegabile con la cautela che molti analisti finanziari mostrano su Generali. A dispetto dell’importante presenza all’estero, le continue acquisizioni effettuate in Italia negli ultimi anni in un’ottica difensiva (dall’Ina alla Toro) hanno finito per esporre il gruppo alle debolezze del mercato domestico. La "crescita del costo medio dei risarcimenti" chiesti dagli assicurati, nonché la liberalizzazione dei rapporti fra compagnie e agenti introdotta dai decreti-Bersani, sono i rischi che pesano sulle prospettive della compagnia, ha scritto di recente Gianantonio Villani, analista di Banca Leonardo. Che aggiunge, alle altre incertezze sulla redditività, anche i bassi tassi d’interesse che penalizzano gli ingenti investimenti della compagnia in obbligazioni.
Un altro punto delicato è quello relativo alla solidità dei conti, un fattore sul quale a Trieste hanno sempre detto di puntare con forza, magari sacrificandovi un’espansione più aggressiva. Gli ultimi dati sembrano indicare che le Generali non si trovino, da questo punto di vista, più avanti dei concorrenti stranieri.
Stando ai calcoli di Tim Proudlove, analista dell’istituto giapponese Daiwa Capital Markets, l’indice di solvibilità, utilizzato per misurare la capacità delle compagnie di far fronte agli impegni con i propri assicurati, alla fine del terzo trimestre 2009 dovrebbe essersi assestato per Generali al 153 per cento, un livello più alto di quello di Axa (141 per cento), ma più basso rispetto ad Allianz (164), Prudential (240) o Zurich (209). Da notare, però, che al dato delle Generali contribuisce in misura sostanziale (per il 21 per cento) la possibilità di includere nel calcolo le plusvalenze potenziali sul patrimonio immobiliare, un’opzione che la compagnia deve sottoporre al vaglio delle autorità. "Il confronto va considerato con una certa cautela, perché per altri versi le norme italiane sono più restrittive rispetto a quelle di altri Paesi", avverte Proudlove.
Per quel che riguarda i rapporti con i soci eccellenti, uno degli aspetti più interessanti è rappresentato dagli investimenti effettuati nelle loro società o in quelle che gravitano attorno a Mediobanca. La potenza di fuoco delle Generali è enorme e, ovviamente, per la banca d’affari avere la compagnia come alleata quando si tratta di acquistare titoli o sottoscrivere obbligazioni rappresenta un fattore di successo essenziale. Ci sono però alcune contro-indicazioni, soprattutto quando le cose non vanno al meglio e le Generali si ritrovano impelagate in operazioni che non danno grandi ritorni. Qualche trucchetto può tornare utile per mascherarne gli effetti. Per gli investimenti in azioni, ad esempio, oggi le Generali seguono norme per la valutazione dei titoli a bilancio meno stringenti rispetto a quelle di Axa e Allianz. Tuttavia, quando la situazione sfugge dal controllo, il costo finisce per essere salato. Un esempio? Le perdite di quasi 2 miliardi che i soci italiani di Telecom - Generali comprese - rischiano di dover contabilizzare. Una grana che chiunque arrivi a Trieste dovrà prima o poi affrontare.