EUGENIO SCALFARI, la Repubblica 5/3/2010, 5 marzo 2010
Mario Pannunzio oggi avrebbe cent´anni insieme al suo amico Ennio Flaiano che abbiamo ricordato due giorni fa e all´altro suo amico Arrigo Benedetti il cui centenario ricorrerà tra pochi mesi
Mario Pannunzio oggi avrebbe cent´anni insieme al suo amico Ennio Flaiano che abbiamo ricordato due giorni fa e all´altro suo amico Arrigo Benedetti il cui centenario ricorrerà tra pochi mesi. Ma io un Pannunzio e un Benedetti centenari non posso immaginarmeli e in un´Italia come quella di oggi meno che mai. Mario è morto 42 anni fa, il suo Mondo aveva chiuso un paio d´anni prima, il mitico Sessantotto stava cambiando i pensieri e i costumi in tutta Europa, ma lui, se anche fosse stato nel pieno delle sue forze, non l´avrebbe capito e neppure degnato d´uno sguardo d´attenzione. Il giovanilismo non lo riguardava, arrivava puntuale ad ogni generazione, contestava i padri, reclamava diritti, dimenticava doveri e poi sfumava come nebbia al sole in attesa di ripresentarsi con le generazioni successive. Il giovanilismo della sua generazione si era affacciato sulla scena negli anni Trenta in pieno fascismo; gare sportive, littoriali della cultura (fascista), un po´ di Fronda al seguito di Bottai e di Ciano. Insomma niente che lo riguardasse. Mario era figlio d´un avvocato che era stato comunista e di una mamma di buona famiglia lucchese; era nato in un bel palazzo settecentesco del Fil Lungo, la via aristocratica della città. Aveva una sorella che amava molto. Ma la sua vera passione era il cinema, la letteratura e Alexis de Tocqueville, sul quale fece la sua tesi di laurea. Quella tesi, arricchita da riflessioni e ricerche successive, fu il suo unico libro. Mario apparteneva infatti ad una specie molto rara tra gli intellettuali: quella dominata da una sorta di pudore culturale. Le persone colte non debbono esibire la loro cultura che sarà sempre e comunque un ennesimo del patrimonio culturale disponibile. E poi le persone colte non possono cimentarsi col mercato per misurare il loro valore in pubblico come si trattasse d´una gara di corsa o di salto. Perciò si scrive soprattutto per sé e per i pochi amici. Con essi si discute e con essi ci si misura, ma anche questi cenacoli siano improntati a discrezione e a molta ironia. L´ironia, lo "humour", la sprezzatura, niente retorica, niente eloquenza. In fondo c´era parecchio snobismo, ma di quello buono. Con queste premesse era evidente che con i ragazzi del Sessantotto non ci sarebbe potuta essere alcuna congenialità, ma la sorte comunque gli risparmiò quel confronto che lo avrebbe parecchio infastidito. Si è detto che Pannunzio sia stato essenzialmente un frondista, un oppositore del potere qualunque ne fossero i colori. Ma dall´interno stesso del potere, come appunto fu la storica Fronda che nacque nel Parlamento di Parigi per sbalzare di seggio il cardinal Mazzarino. Il frondismo di Pannunzio sarebbe quello imparato nell´Omnibus fondato e diretto da Longanesi nella seconda metà degli anni Trenta, in cui Mario lavorò; e poi proseguito in proprio quando insieme a Benedetti fondò il settimanale Oggi che vide la luce nel ´39 e fu definitivamente soppresso dal Minculpop nel ´42 dopo aver subìto molte sospensioni e sequestri. Il frondismo è una definizione esatta per Longanesi: fece la Fronda al fascismo mentre ne era un importante collaboratore propagandistico. Poi, dopo il 1945, fece la Fronda rispetto alla democrazia, in nome d´un conservatorismo borghese e aristocratico che Il Borghese da lui fondato si propose di evocare. Solo che un conservatorismo di quel tipo in Italia non era mai esistito, perciò Il Borghese longanesiano non evocò nessuno, e dopo la morte del suo fondatore, diventò un settimanale decisamente fascista perché non esisteva alcuno spazio disponibile: la Fronda può infatti aver senso sotto una dittatura ma non in un regime democratico. Pannunzio infatti fece la sua brava Fronda sotto il fascismo. Quando il regime soppresse Oggi Mario Missiroli lo andò a trovare per manifestargli (molto riservatamente) la sua solidarietà e gli disse una frase che coglieva perfettamente quella situazione: «Vi hanno soppresso – gli disse come ha spesso raccontato – non per quello che scrivevate, ma per quello che non scrivevate». La Fronda si fa esattamente così. Ma dopo l´8 settembre non era più tempo di quel dissenso e quella sottile ironia: era tempo di guerra e Pannunzio e Benedetti parteciparono a quella guerra, Arrigo sull´Appennino tosco-emiliano, Mario a Roma in clandestinità con gli amici del Partito liberale da poco rifondato da Carandini, Cattani, Libonati, stampando e distribuendo alla macchia il Risorgimento liberale che poi ebbe la sua bella stagione dopo l´arrivo a Roma della quinta Armata nel giugno del ´44 e fu uno dei giornali di partito più interessanti fino al ´47, quando la guida del Partito liberale passò in altre mani. La vicenda di Mario Pannunzio e dei suoi amici con il Partito liberale merita qualche approfondimento perché è illuminante sulla natura che il pensiero e la cultura liberale hanno avuto nel nostro Paese. Quanto al pensiero fu sostanzioso, limpido e in linea con il liberalismo europeo ereditato dall´Ottocento. Guizot, Tocqueville, Benjamin Constant in Francia, i liberali inglesi di Gladstone, la Lega antiprotezionista di Cobden e tutta la grande tradizione riformista anglosassone. Qui da noi a capo del filo c´era il conte di Cavour e poi la Destra storica con Marco Minghetti e Silvio Spaventa in particolare: libero commercio, libero mercato, ma anche regole che combattessero i monopoli, ripartissero equanimemente il reddito, impedissero privilegi, garantissero eguaglianza delle condizioni di partenza e tenessero aperto l´accesso al mercato. In quei primi anni subito dopo il disastro della guerra e la ritrovata democrazia, le più alte voci della cultura liberale in Italia furono quelle di Benedetto Croce e Luigi Einaudi. Ai loro fianchi emergevano i Calogero, gli Omodeo, i De Ruggiero, i Salvatorelli, gli Jemolo, i Ruffini, i Romeo, un gruppo di storici e di intellettuali di sentimenti profondamente liberali ma anche assai sensibili ai temi della eguaglianza sociale. Insomma "Giustizia e libertà", il Partito d´Azione come costola moderna del pensiero liberale. Ipotesi che Croce ed Einaudi non accettarono mai perché per loro il liberalismo era una filosofia politica più che un partito e la filosofia non ammetteva contaminazioni. Pannunzio e i suoi amici si sentivano e si trovarono con un piede nel liberalismo classico e con un altro nel Partito d´Azione. In realtà il Partito liberale dal ´47 in poi ebbe una torsione conservatrice e confindustriale che l´ala carandiniana non accettò. Il Partito d´Azione nel frattempo si polverizzò in mille pezzi e cessò di esistere. Vennero insomma a mancare i fondamenti politici del loro pensiero. Il vuoto poteva essere riempito in un solo modo: fondando un giornale al servizio di una cultura politica che fu chiamata di sinistra liberale. Così nel 1949 nacque Il Mondo. I numi tutelari erano Croce, Einaudi, Salvemini. Il sodalizio giornalistico-politico fu caratterizzato dal tandem Pannunzio-Ernesto Rossi. Ma attorno a Pannunzio si formò uno stuolo di collaboratori che rappresentava il meglio della cultura "liberal" di quegli anni, più a sinistra dello stesso fondatore e direttore del giornale. L´elenco è già stato fatto infinite volte ed è inutile ripeterlo qui se non per ricordare alcuni nomi particolarmente significativi: Vittorio De Caprariis, Francesco Compagna, Vittorio Gorresio, Enzo Forcella, Alberto Moravia, Vitaliano Brancati, Sandro De Feo. Di Flaiano si è già detto. Più tardi arrivarono Arbasino, Siciliano, Ronchey, ma a nominarli tutti ci vorrebbe una pagina intera. Gli avversari erano chiaramente individuati: i comunisti da un lato, i clericali dall´altro. L´antifascismo era il sentimento fondante e la lotta contro i "padroni del vapore" altrettanto. Dunque i confini politici erano netti, ma con la Dc di De Gasperi, il colloquio c´era ed anche con Giolitti e Riccardo Lombardi. Con Togliatti no, ma con Giorgio Amendola sì. Non c´erano in questo gruppo né Longanesi né Indro Montanelli. Loro continuarono a fare Fronda. Quella di Indro era una Fronda popolare, senza lo snobismo longanesiano. Talvolta il popolare ebbe qualche venatura populista, sempre sorretta da un formidabile mestiere che però con Mario Pannunzio non ebbe nulla a che vedere. *** QUEL SUO SOGNO LIBERALE DI UN´ITALIA DIVERSA - Anch´io ho collaborato al Mondo, dal 1949. Ne accenno qui poiché per me quella collaborazione, le amicizie che ebbi, l´aria che in quelle stanze respirai furono l´inizio d´un lungo percorso che dette vita prima all´Espresso e poi alla Repubblica e ha avuto e ha qualche significato nel giornalismo e nella for-mazione di tre generazioni di italiani. Vi collaborai in vario modo. Con articoli di contenuto economico e politico, con i convegni degli amici del Mondo che si svolsero tra il 1955 e il 1963 ed elaborarono una vera e propria piattaforma programmatica che costituì la struttura culturale del centrosinistra inaugurato col governo Fanfani del ´62 e con il governo Moro del ´63. Infine ebbi con Pannunzio una lunga frequentazione privata quasi quotidiana insieme alla cerchia più intima che si raccoglieva intorno a lui la sera in alcune trattorie e caffè, da Nino in via Rasella e in via Borgognona, da Giovanni in via Marche, al Caffè Rosati, al Golden Gate e allo Strega in via Veneto, da Rosati e Canova a Piazza del Popolo. Si faceva notte fonda e ci si divertiva a discutere, ma quasi mai di politica e ben poco di letteratura. Si scherzava. Si motteggiava, e se volete, si cazzeggiava. La letteratura in realtà era alla base di questi nostri conversari, ma una base implicita, fatta di «gusci di noce e frammenti di vetro colorati» come scrisse poi Italo Calvino per descrivere la sua «leggerezza profonda». Ecco, i discorsi erano apparentemente frivoli ma in realtà intessuti di leggerezza pensosa e questo rendeva quelle serate preziose per ciascuno di noi che vi partecipavamo. Quando Mario è morto ho passato una giornata di grande commozione. Come per la morte d´un padre. Ma i nostri rapporti si erano raffreddati e poi interrotti già da tempo. La linea dell´Espresso, che all´inizio era stata parallela a quella del Mondo, col passar degli anni si era divaricata: noi eravamo aperti verso i socialisti, Il Mondo reagì attestandosi su una posizione liberal- repubblicana. Sfumature senza molto significato. La crisi dei nostri rapporti in realtà era avvenuta nel momento della dissoluzione del Partito radicale che avevamo fondato nel ´55 e si spense nel ´63, ereditato da Marco Pannella che ne fece tutt´altra cosa. Per quanto mi riguarda, dico personalmente e non politi-camente, fu la rottura d´un figlio che si voleva affrancare dalla tutela paterna, con il dolore che rotture del genere comportano. Ricordare oggi questi fatti significa cercare il senso d´una vicenda privata che ebbe an-che qualche risvolto pubblico e che è così remota da esser diventata la preistoria d´un´anima ormai molto lontana da quella di allora.