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 2010  marzo 05 Venerdì calendario

IL VERO TENORE DI VITA DEGLI ITALIANI


 da almeno tre o quattro anni che, periodicamente, sentiamo ripetere più o meno questo discorso: il reddito pro capite degli italiani, e segnatamente dei lavoratori dipendenti, è molto minore di quello della maggior parte dei paesi europei sviluppati. Di qui la richiesta di incrementi retributivi, o sotto forma di minori tasse o sotto forma di riduzione del cuneo contributivo, o sotto forma di aumenti dei minimi contrattuali. Ovviamente sottoscritto dai sindacati dei lavoratori, questo ragionamento ha spesso avuto anche l’autorevole avallo della Banca d’Italia, che in più occasioni ha fatto rilevare sia la «leggerezza» delle nostre buste paga sia gli effetti negativi che retribuzioni troppo basse possono esercitare sulla propensione al consumo, e per questa via sulla domanda aggregata e la crescita.
Sempre su questa linea, che sottolinea il deterioramento della posizione dell’Italia nei confronti dei partner Ue, ha fatto discutere ai tempi del governo Prodi (2007), poco prima della crisi, l’annuncio che nel 2006 il reddito pro capite della Spagna, calcolato a parità di potere di acquisto, aveva per la prima volta superato quello dell’Italia. Detto in altre parole: il tenore di vita degli italiani non solo è inferiore a quello di Francia, Germania e Regno Unito, che ci avevano già sorpassati da tempo, ma subito prima della crisi era diventato inferiore anche a quello della Spagna, l’altro grande paese europeo con cui siamo soliti confrontarci (oggi siamo di nuovo più o meno in pari con gli spagnoli). In breve, i nostri redditi sono inferiori a quelli europei non solo in termini nominali, ma anche in termini di potere di acquisto. Possiamo concluderne che il tenore di vita dell’Italia è più basso di quello della maggior parte dei paesi europei?
Se per tenore di vita intendiamo il potere di acquisto pro capite, è senz’altro così, almeno se ci fidiamo dei calcoli dell’Ocse sulle parità di potere di acquisto. Ma il potere di acquisto è solo un aspetto del tenore di vita. Se due paesi hanno la stessa popolazione e possono acquistare lo stesso stock di merci, ma nel primo si lavora mediamente 40 ore la settimana mentre nel secondo se ne lavorano 20, sembra irragionevole dire che il tenore di vita è il medesimo: il secondo paese sta meglio del primo perché riesce a comprare gli stessi beni e servizi lavorando la metà del tempo.
Se guardiamo le cose da questa prospettiva la condizione dell’Italia è tutt’altro che drammatica: fatto 100 il potere di acquisto per ora lavorata dei paesi dell’Europa a 15, precediamo non solo la Spagna, ma anche la Germania e il Regno Unito, e solo la Francia sta meglio di noi.
Se poi teniamo conto non solo della quantità di lavoro erogato, ma anche della sua qualità, ossia del livello di qualificazione della forza lavoro, facendo pesare di più le ore di lavoro degli occupati più istruiti, scopriamo che l’Italia sta addirittura meglio della Francia: per quanto e per come lavoriamo, il nostro potere di acquisto è addirittura eccessivo. Fatto 100 il potere di acquisto di un’ora di lavoro «astratto» (reso omogeneo dal punto di vista della qualità), la Germania è a quota 92,7, il Regno Unito a 93,5, la Spagna a 99,6, la Francia a 108,3, l’Italia a 111,6.
Se infine consideriamo tutti i paesi dell’Europa a 15, ci accorgiamo che la posizione dell’Italia, disastrosa in termini di potere di acquisto per abitante (solo Grecia e Portogallo fanno peggio di noi), diventa eccellente in termini di potere di acquisto per ora di lavoro astratto (solo Irlanda e Lussemburgo fanno meglio di noi).
Sembra una riflessione paradossale, ma forse è la chiave per capire qual è il vero male dell’Italia. vero che gli italiani guadagnano poco, ma è la torta complessiva che si spartiscono a essere troppo piccola. E la torta è piccola innanzitutto per due ragioni semplicissime: lavoriamo di meno degli altri, la qualità della nostra forza lavoro è fra le più basse d’Europa.