Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 04/03/2010, 4 marzo 2010
I MISTERI DEL CONCLAVE LA FAVOLA DEL VOTO TRADITO
Ho recentemente letto una notizia che mi ha molto colpito: il cardinale Giuseppe Siri, esponente dell’ala conservatrice della Chiesa, sarebbe stato eletto papa il 26 ottobre 1958, scegliendo il nome di Gregorio XVII, nel segreto del conclave da cui poi uscì pontefice Giovanni XXIII. Questa teoria è stata a lungo sostenuta negli ambienti dei cosiddetti sedevacantisti e dei cattolici tradizionalisti, e si ha riscontro di essa addirittura in un rapporto della Cia (di cui tuttavia si è persa traccia). La legittima elezione di Siri avrebbe però incontrato forte opposizione da parte, secondo alcuni, dei cardinali dell’Est europeo, timorosi della reazione dei regimi comunisti, secondo altri, di alcuni «progressisti» francesi. A sostegno della tesi «complottistica» è stato inoltre utilizzato il colore di una fumata, secondo alcuni bianca, corrispondente proprio alla seduta in cui Siri avrebbe raggiunto la maggioranza necessaria, accettando poi l’elezione. Come sono andate le cose?
Luca Bellardini
bedea@tiscali.it
Caro Bellardini, il solo granello di verità nella voce da lei raccolta è probabilmente il colore delle fumate (nero per le votazioni fallite, bianco per quella positiva) che uscirono in quei giorni dal camino del Conclave. Molte, in effetti, avevano un colore incerto, né bianco né nero, e suscitarono qualche minuto di sgomento. Secondo Benny Lay, autore di un libro sul cardinale Siri («Il Papa non eletto», ed. Laterza), lo stesso Siri spiegò più tardi le ragioni di quella confusione dicendo di avere assistito «alla piccola cerimonia con cui, al termine di ogni duplice votazione, si procedeva a bruciare le schede nella stufa della Cappella Sistina: nessuno dei cardinali addetti allo scopo si preoccupava di mettere nella stufa il materiale necessario per segnalare l’esito negativo degli scrutini». Erano passati 19 anni dal Conclave precedente e molti fra i 51 cardinali del Sacro Collegio non avevano mai fatto quella esperienza.
Il resto della storia è una favola nata negli Stati Uniti in ambienti anti-conciliari, decisi a screditare il papato di Giovanni XXIII e a mettere in dubbio la legittimità delle sue decisioni fra cui, per l’appunto, la convocazione del Concilio Vaticano II. Il miglior testimone dell’assurdità dell’accusa è proprio il maggiore protagonista della leggenda. Nelle sue lunghe conversazioni con Benny Lay, pubblicate dopo la morte, Siri raccontò di avere provato nei giorni del Conclave un sentimento di ritrosia e di fastidio. Sapeva di essere stato designato da Pio XII come uno dei suoi possibili successori (l’altro era il cardinale Cicognani). Sapeva di essere sostenuto da un gruppo di cardinali italiani e dal cardinale orientale Ignace Gabriel Tappouni, Patriarca di Antiochia. E aveva ricevuto una esplicita offerta di candidatura durante un colloquio con Monsignor José Sebastian Laboa, segretario di Cicognani. Ma pensava, probabilmente, che quello non fosse il suo momento e aveva respinto le offerte accampando problemi di salute.
Questo non gli impedì di avere nel Conclave un ruolo importante. Prese una netta posizione, anzitutto, contro la scelta di Montini. A Benny Lay, nel 1961, raccontò che quando «un tale» andò a sondarlo sulla eventuale candidatura dell’arcivescovo di Milano, dette «un pugno sul tavolo così forte da far saltare la pietra dell’anello che portava al dito». Ma sulla personalità del cardinale e su altre vicende connesse alla sua vita, caro Bellardini, lei potrà leggere, insieme al libro di Lay, quello più recente curato da Paolo Gheda per l’editore Marietti: «Siri, la Chiesa, l’Italia». Vi troverà tra l’altro un saggio di Gheda sui rapporti tra Siri e Montini.
Sergio Romano