Francesca Cerati, Il Sole-24 Ore 4/3/2010;, 4 marzo 2010
PIATTI GI RICCHI DI CIBI MODIFICATI
Il 70% dei prodotti da forno, le salse, le conserve così come le merendine che si trovano sugli scaffali del supermercato contengono sottoprodotti – come lecitina,farina e olio’ che derivano da una materia prima Ogm, vale a dire mais e soia. Che l’Italia importa soprattutto dagli Stati Uniti, dal Canada, dal Brasile e dall’Argentina. Non da ieri né dall’altro ieri, ma ormai da una decina d’anni. Lo stesso vale per i mangimi:l’80-90%della necessità nazionale viene importata perché il nostro paese, da questo punto di vista, non è autosufficiente. E quando anziché contenere derivati, l’alimento confezionato contiene una materia prima modificata geneticamente l’avvertenza in etichetta è d’obbligo solo se la sostanza Ogm supera lo 0,9% del contenuto totale.
«In realtà, quando parliamo di derivati Ogm, come ad esempio la lecitina, il latte o l’olio di soia, non serve scriverlo in etichetta perché il Dna modificato originario non è più rintracciabile, in quanto demolito dai succhi gastrici e dagli enzimi – spiega Giorgio Poli, preside della facoltà di Veterinaria dell’Università di Milano ”. Non esiste infatti alcun patrimonio genetico, modificato o meno, che possa resistere più di qualche secondo al pH dello stomaco e ai succhi enterici. Non solo, una cellula di mela o una fibra muscolare di una bistecca contengono 30mila geni, con un morso ne ingeriamo milioni di miliardi, pensiamo a un pasto completo... In altre parole, quotidianamente ingeriamo miliardi di miliardi di geni. un assurdo biologico pensare che quel singolo gene modificato sia l’unico a sopravvivere al processo digestivo, l’unico a essere acquisito e, in qualche modo a manifestarsi».
Lo stesso discorso vale per i mangimi: se il gene modificato arrivasse nella carne o nel latte dovremmo trovarne traccia anche di altri, invece questo non accade.
«Il Dna viene aggredito dagli enzimi e scisso nelle sue componenti azotate, che poi vengono riutilizzate per la sintesi proteica – continua Poli ”. Se ci fosse la possibilità che quello che mangiamo condizioni il nostro patrimonio genetico la lotta contro gli Ogm non sarebbe certo la salvezza, perché dovremmo difenderci anche da tutti gli altri geni che ingeriamo, e che derivano da lieviti, vegetali e animali. Va infine aggiunto che nei derivati come l’olio di soia, che ha una matrice sostanzialmente oleosa, non vi sono che tracce infinitesimali di dna, e quindi di proteine. Di conseguenza non stiamo consumando nulla che è indirettamente correlabile alla modificazione genetica indotta».
Sul fronte della sicurezza alimentare, infine, tranquilizza anche il dossier che raccoglie 15 anni di lavoro, sviluppato da 400 centri di studio indipendenti in tutta Europa presentato dall’ex commissario europeo alla ricerca Philippe Busquin, in cui si smentisce scientificamente che gli Ogm possano determinare allergie o resistenza agli antibiotici. Ma esistono prodotti in cui sicuramente non sono presenti ingredienti da ingengneria genetica? «In quelli da agricoltura biologica e in quelli per l’infanzia – conclude Poli ”. Va detto però che è difficile parlare di Ogm free nel momento in cui l’importazione delle materie prime, assolutamente legale, via cargo lascia residui e può contaminare il successivo trasporto. Da qui, l’inserimento del limite dello 0,9%, di fatto un parametro commerciale non di sicurezza per la salute. Su quest’ultimo punto, insisto, sarebbe necessario introdurre altri tipi di "bollini", che certifichino gli alimenti come micotossine, metalli pesanti, mercurio, e radioattività free».