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 2010  marzo 04 Giovedì calendario

ALLA RESA DEI CONTI IL «PARTITO MAI NATO»

L’ossimoro «monarchia anarchica» coniato da Giulio Tremonti è una fotografia fedele ma, a guardarla oggi, anche impietosa del Popolo della libertà. Il pasticcio-liste è solo l’ultima goccia. Il vaso era già colmo e se non tracima è solo perché l’appuntamento elettorale del 28-29 marzo è dietro l’angolo. «Dopo però cambierà tutto»: ripetono in Transatlantico ma anche ai piani nobili di Palazzo Grazioli e Montecitorio dove albergano Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini.
L’anarchia, di cui parlava con indulgenza bonaria il professore di via XX Settembre, sta rivelando la sua forza distruttiva. Perché ha ragione Ignazio La Russa – che assieme a Bondi e Verdini compone il triumvirato di coordinamento del partito – quando rivendica per il Pdl una catena di «successi elettorali ininterrotti ». Ma non basta attribuire alla «fase di rodaggio» le difficoltà che stanno rendendo impacciato e in alcuni casi goffo il primo partito italiano. Anche perché i successi, almeno per i berlusconiani puri, non sono del Pdl in quanto partito ma del Cavaliere. E a pensarla così è anche lo stesso Berlusconi che, se anche smentisce i virgolettati che lo ritraggono come «infuriato», «stufo» e determinato a procedere a «un’operazione di pulizia» subito dopo le regionali, rispolvera non a caso la minaccia-Brambilla, affidando al ministro del turismo un esercito di «paladini della libertà» per la campagna elettorale.
 un modo per lanciare un avvertimento, per ricordare che lui è pronto a «sparigliare» in qualunque momento. Per evocare quel fantasma che nell’estate del 2007 sconvolse le notti di molti azzurri. Quando Ugo Magri su «La Stampa» rivelò che Berlusconi aveva deciso di cancellare Fi e fondare il Pdl con la Brambilla segretario. Sul momento non se ne fece niente. Ma qualche mese dopo, il 18 novembre del 2007, a Piazza San Babila il Cavaliere salì sul «predellino».
Il contesto è però oggi completamente diverso: Fi non c’è più e il Pdl più che monarchico appare soprattutto anarchico. Nascono come funghi fondazioni, club, gruppi d’interesse di cui spesso sono protagonisti anche berlusconiani fedelissimi, come Valducci o Bondi, Quagliariello o Gasparri. Ma tutto questo movimento sembra anche essere espressione di un immobilismo del partito. Come se ci fosse bisogno di cercare altrove i luoghi dove far politica. Il primo a cominciare è stato Fini con Fare Futuro, diventata oggetto degli strali di coloro che ritengono il presidente della Camerae la sua fondazione tanti Bruto in attesa delle idi di marzo. Fini non ha mai nascosto il fastidio per il «cesarismo » del Cavaliere. Ma a differenza di altri l’ex leader di An è trasparente nelle sue critiche. Il cosiddetto «dualismo» è, come dire, sotto gli occhi di tutti. Per alcuni – a partire da Il Giornale di Feltri – le posizioni di Fini sarebbero la principale ragione delle attuali difficoltà del Pdl.
Ma è davvero così? Cosa c’entra Fini con la guerra in atto dentro al Pdl in Sicilia, che riguarda soprattutto l’area di ex Fi?Oppure con lo scontro tra Formigoni e la Moratti a Milano? E davvero qualcuno pensa che l’ascesa della Lega ai danni del Pdl in tutto il Centro-Nord sia frutto delle posizioni di Fini sull’immigrazione? La competizione con il partito di Bossi, il rischio del sorpasso nelle principali regioni e province del Nord è dietro l’angolo. Una marcia lenta e inesorabile che si fonda su due elementi portanti: la leadership del Senatur certamente ma anche la forza del partito. La Lega non è solo Umberto Bossi. un partito pesante, un po’ vecchio stampo, di quelli dove non ti affibbiano la tessera per fare numero.
A proposito di tessere. Nel Pdl la campagna di tesseramento procede a rilento. Il partito smentisce che ci sia stato un flop, spiegano che al momento risultano già «286mila pre-adesioni on line», che ora però devono essere ratificate personalmente. L’ultimo dato sul tesseramento di Fi dice che gli iscritti erano 411mila. Quelli di An nel 2007/2008 600mila. Berlusconi aveva fatto la somma e aveva annunciato che «il Pdl presto sarebbe arrivato a quota un milione ». Ma in politica non sempre 1+1 fa due. Quella che doveva essere una fusione dal basso, si è invece rivelata una sorta di prodotto da laboratorio. Nel totale si sono mescolati un 30% di azzurro, con un 10% di An, più alcuni zero virgola. Con la stessa logica sono state affrontate le regionali, la composizione delle liste: il risultato è cronaca di queste ore.