Marcello Sorgi, La Stampa 4/3/2010, pagina 1, 4 marzo 2010
LA POLITICA NELLE MANI DEI GIUDICI
Per quanto difficile possa sembrare, il pasticcio preelettorale senza eguali esploso tra Roma e Milano va affrontato con freddezza. L’idea che in Lombardia, cioè nella più ricca e più importante regione del Nord, l’opinione pubblica in maggioranza schierata da anni con il centrodestra sia sostanzialmente privata del diritto di voto, per mancanza delle liste dei partiti in cui si riconosce, è grottesca. Così come lo è, nel Lazio, la prospettiva che dopo la mediocre fine dell’amministrazione di centrosinistra, travolta dallo scandalo Marrazzo, non sia data agli elettori la possibilità di valutare un’alternativa, e gli sia praticamente imposta solo la scelta tra l’astensione e la conferma dello schieramento uscente.
Sarebbe però abominevole, e sicuramente peggio, che il governo Berlusconi, per ovviare agli errori grossolani di esponenti locali del partito del premier, intervenisse in qualsiasi modo allo scopo di ristabilire la normalità della competizione elettorale.
La consapevolezza di questo limite - oltre il quale, è bene ribadirlo, si passerebbe da una democrazia come quella italiana, che funziona con qualche guasto, a un regime vero e proprio - per fortuna è presente, sia nel premier che nel ministro dell’Interno Maroni, a cui tocca sorvegliare il normale svolgimento delle elezioni. In questo caso, di normale, è rimasto ben poco, per la verità. Ma non c’è nulla, proprio nulla, che Maroni possa fare, senza venir meno ai suoi doveri di uomo di Stato e senza incorrere in un atteggiamento di evidente parzialità.
Allo stesso modo sarebbe impensabile che la via d’uscita politica che il governo e la maggioranza non possono proporre, si trovasse invece con una disponibilità bipartisan dell’opposizione. Da qualche parte si sente dire che il centrosinistra non ha alcuna convenienza a spingere per elezioni che, con due macroscopiche assenze come quelle che si delineano, verrebbero percepite come una specie di doppio golpe: localizzato, limitato a due Regioni nevralgiche e per cause diverse, ma pur sempre colpo di Stato. L’affermazione ha una sua fondatezza, dal momento che, se nel Lazio l’esito del voto è tuttora incerto, in Lombardia il solitario candidato del Pd vincerebbe, sì, ma andrebbe a governare in nome di una minoranza. E tuttavia è fuori della realtà chiedere al centrosinistra di contribuire a togliere le castagne dal fuoco ai suoi avversari, per fare insieme una sorta di condono e stabilire un precedente in cui le liste si presentano e si cambiano, si firmano, non si firmano o si mettono le firme false, e le elezioni si convocano e si sconvocano, e i risultati si proclamano ma si contestano, e alla fine la posta viene rimessa in gioco tante volte finché non vince solo chi deve vincere.
Dappertutto, nel mondo, le elezioni sono competizioni spietate e non a caso regolate da norme severe, che sempre si fanno valere. Abbiamo avuto le elezioni americane del 2000 in cui lo scettro di leader più potente del mondo, in mancanza di un risultato chiaro, fu assegnato dalla Corte Suprema. E anche senza ricorrere a esempi sproporzionati, ci sono stati una serie di casi, oggi quasi dimenticati, in cui la magistratura anche in Italia s’è trovata a intervenire su situazioni che potevano pregiudicare la corretta espressione della volontà popolare.
E’ già accaduto alle regionali di dieci anni fa che le elezioni in Molise, vinte dal centrosinistra nel 2000, siano state annullate un anno dopo per la successiva esclusione di due liste non corredate da firme valide. Nel 2001 si rivotò e, forse anche per il modo in cui si era arrivati al risultato precedente, vinse il centrodestra. Ma anche nel 2005 le elezioni in Basilicata dovettero essere spostate di quindici giorni dal prefetto per la mancata ammissione di una lista civica a Potenza, poi riammessa a soli tre giorni dalla data precedentemente fissata per il voto. E clamoroso, nello stesso anno, fu il caso della lista presentata, esclusa e poi riabilitata dal Consiglio di Stato, di Alessandra Mussolini nel Lazio, che sottraendo voti allo schieramento di centrodestra negli ultimi giorni di campagna elettorale fu decisiva per la sconfitta del governatore uscente Francesco Storace.
Una politica troppo spesso basata su colpi bassi e lotte intestine all’interno delle coalizioni ha già dovuto far ricorso molte volte, negli ultimi anni, a una magistratura che su un terreno così delicato fa quel che può, e necessariamente si esprime con una giurisprudenza controversa e con decisioni che, seppure chiudono le dispute, quasi mai riescono a spegnere il fuoco delle polemiche. Non è la migliore delle soluzioni possibili, ma purtroppo non c’è altra strada. A sessantaquattro anni dalla nascita della Repubblica, proclamata peraltro dalla Corte di Cassazione, non siamo forse il Paese che dubita ancora dei risultati del Plebiscito del 2 giugno ”46 e della sconfitta della monarchia?