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 2010  marzo 03 Mercoledì calendario

GLI OGM NON SONO UN MALE

La Commissione europea ha approvato che nei Paesi membri si possa coltivare una patata e importare tre varietà di mais, tutti prodotti Ogm (geneticamente migliorati). In questa sciocca diatriba ideologica tra chi è pro e chi è contro gli Ogm, i primi hanno guadagnato un punto. A chi mi chiede se io sia pro o contro gli Ogm fornisco la stessa risposta che do a chi mi pone la stessa domanda sul nucleare: la domanda è malposta. Come certe questioni abbiano acquisito valenza ideologica è un mezzo mistero. Proviamo a scrollarci di dosso l’ideologia. un invito che vorrei rivolgere soprattutto ai responsabili politici, ai ministri e ai presidenti delle nostre Regioni. La domanda da porsi è: è quel tal specifico prodotto Ogm rischioso per l’ambiente e la salute? Ha esso caratteristiche migliori dell’analogo prodotto tradizionale? Se la risposta fosse sì, allora che si autorizzi la coltivazione, se la risposta fosse no, allora la si proibisca. Dovrebbe essere facile, no? Sulla seconda domanda c’è poco da soffermarsi: se un prodotto Ogm fosse peggiore dell’analogo tradizionale, allora la produzione dell’Ogm abortirebbe sul nascere. Quanto alla prima domanda, l’Unione europea promosse alcuni anni fa uno studio specifico; alcuni anni e qualche decina di milioni di euri dopo, quello studio così concluse: «L’agricoltura che si serve di Ogm non presenta più rischi di quella tradizionale. Semmai ne presenta meno, e ancora meno di quella biologica». D’altra parte, 3 miliardi di persone nel mondo si nutrono di prodotti Ogm, e stanno benissimo. E anche noi, ci piaccia o no: tanto per fare un esempio fra mille, la pasta di grano duro è ottenuta dalla ottima farina prodotta da un chicco che è stato geneticamente modificato; ma non col bisturi dell’ingegneria genetica, bensì con la mitragliatrice della radiazione gamma. La decisione della Commissione europea aggrava quel che per il nostro Paese è il vero pericolo da Ogm: rinunciarvi. Il resto del mondo andrà avanti e l’Italia, invece, continuerà a restare immobile e finirà col restare sola. Gli altri producono, e noi importiamo. Una storia già vista: nel secondo dopoguerra gli agricoltori italiani distruggevano i primi raccolti di mais ibrido per paura del monopolio delle industrie sementiere. Ha ragione l’Italia ad avversare gli Ogm, o ha ragione il resto del mondo a servirsene quando e se ritenuti migliori dei prodotti tradizionali? Il quesito non è di poco conto, visto che ne va di mezzo la sopravvivenza della nostra agricoltura nazionale: perché, se ha ragione il resto del mondo, l’Italia potrebbe trovarsi presto nella stessa situazione della Russia di oltre 70 anni fa, quando la classe politica russa, dopo che si fece convincere da tale Lysenko che le leggi della genetica moderna erano un’invenzione borghese e poco funzionale al regime, emarginò gli scienziati dissidenti, vietò lo sviluppo della genetica agraria, e inevitabilmente portò al collasso l’agricoltura del Paese. Le nostre filiere zootecniche sono crucialmente dipendenti dalla soia Ogm: la disponibilità di soia Ogm free in Italia non supera l’8%. Detto diversamente: piaccia o no, perfino i prodotti Ogm free non sono estranei alla filiera Ogm. La soia Ogm free è un prodotto di nicchia, ben lontano da essere sufficiente a soddisfare il nostro fabbisogno. Costa di meno? No, costa oltre il 10% in più del prodotto Ogm. più sicura per la salute e per l’ambiente? No, anzi al contrario: necessita di un maggior numero di trattamenti erbicidi, ed è appunto per questo che costa di più. Chi ha tare ideologiche se la prende con le famigerate multinazionali e con gli Stati Uniti. Si dà il caso che anche la soia Ogm free è commercializzata dalle multinazionali. L’Italia si trova dinanzi ad un bivio analogo a quello che le si prospettò quando dovette scegliere se abbandonare o no la produzione elettrica da nucleare: scelse l’abbandono, ma non potendo rinunciarvi ne fece un altro bene d’importazione. Per le importazioni di energia elettronucleare ogni anno paghiamo alla Francia più del costo di un reattore nucleare; siccome lo facciamo da 20 anni, un quarto del parco nucleare francese l’abbiamo pagato noi, contribuenti italiani. Qualche tempo fa un sondaggio rivelò che il 70% degli italiani non li vuole, ma lo stesso sondaggio rivelava che l’80% non sa cosa essi siano. Mi sia allora consentito di suggerire la lettura di Geni altruisti (Mondadori, 2009), prezioso e istruttivo saggio di Gabriele Milanesi, professore di Biologia molecolare all’università di Milano: vi si apprenderà come usare il Dna per migliorare la nostra vita. FrancoBattaglia