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 2010  marzo 03 Mercoledì calendario

GRAN BRETAGNA A RISCHIO RETROCESSIONE’ I

laburisti recuperano terreno e la sterlina batte in ritirata perdendo terreno nei confronti del dollaro e dell’euro. Come in un gioco di vasi comunicanti, le oscillazioni del mercato elettorale producono effetti in tempo reale sul mercato valutario. La ragione non è difficile da comprendere: l’incertezza sul futuro quadro politico condiziona i comportamenti degli operatori della City.
Al capezzale del grande malato, l’economia britannica, si scontrano due opposte strategie di guarigione. La maggioranza di Gordon Brown ritiene che dalla crisi si possa uscire tagliando la spesa pubblica soltanto a partire dal 2011, lasciando che per l’anno in corso gli stimoli fiscali continuino a produrre ricadute positive sull’industria dei servizi e sull’occupazione (i senza lavoro dovrebbero essere, secondo le stime, 2,8 milioni alla fine del 2010), anche a costo di gestire un deficit di bilancio che ha raggiunto nel 2009 la dimensione record del 12,6 per cento del prodotto interno lordo. I conservatori di David Cameron, all’opposto, suggeriscono una cura dimagrante drastica e con effetto immediato perché lo squilibrio nei conti e nelle finanze dello Stato (il debito salirà dal 56% all’80% del Pil da qui al 2014) pregiudica la fiducia degli investitori e rischia di tradursi in una bocciatura solenne da parte delle agenzie di rating che valutano l’affidabilità del sistema, ancora oggi premiato con la tripla A.
Entrambe le proposte appaiono tanto semplici quanto, nei tempi, inconciliabili ma peccano di un vizio: pur concordando sulla necessità di rivedere i capitoli della spesa, il Labour e i Tory non spiegano dove e come intendono abbassare la scure. Hanno paura di condizionare in negativo il risultato del voto in agenda nella prossima primavera. Servirebbe un atto di coraggio da parte delle due leadership, per chiamare i britannici a confrontarsi sui sacrifici utili alla ripresa. Invece, prevale la logica del «vediamo chi vince poi si deciderà».
Ecco allora, da un lato, Gordon Brown che si erge a difesa del lavoro, che annuncia investimenti a favore dell’educazione e a protezione della sicurezza, che giura di riportare il deficit sotto controllo dal 2011 e di vincolarlo nel lontano 2014 a un più accettabile 4,4 per cento del Pil. E, dall’altro, David Cameron che promette di non accanirsi sul budget della sanità e dell’assistenza (sovvertendo il purismo thatcheriano), che conferma però la volontà di dare ossigeno ai contribuenti con la riforma delle tasse di successione e con un bonus d’imposta per le coppie che si sposano.
In quale modo attingeranno alle risorse disponibili, visto che le casse sono in rosso, sia Gordon Brown sia David Cameron non si sognano di dirlo. La posta sul piatto è ancora troppo alta per scoprire adesso le carte. Tale calcolata fumosità sulle ricette economiche sembra premiare di più i laburisti. Nel 2009, in ottobre, i sondaggi li davano dietro di 17 punti, fermi a uno sconsolante 27 per cento con i conservatori al 44. Le ultime due rilevazioni, quella di domenica pubblicata dal Sunday Times e quella di ieri dell’Independent, segnalano una improvvisa impennata dei consensi: si calcola che il distacco sia fra le due e le cinque incollature (35 a 37 oppure 32 a 37). Aldilà delle previsioni e della loro attendibilità il vero problema è che tutti gli analisti, fino a dicembre pronti a scommettere sulla facile cavalcata di David Cameron, stanno riformulando gli scenari futuri. E il più probabile, a circa due mesi dalle consultazioni, è che la Camera dei Comuni si ritrovi priva di una maggioranza assoluta e con una situazione paradossale: Tory primo partito del Regno, Labour primo partito in Parlamento, questo per effetto del sistema elettorale e della distribuzione dei collegi. Tecnicamente lo chiamano hung parliament, sostanzialmente un Parlamento bloccato.
Non sarebbe uno scandalo e neppure una novità, è già accaduto nel 1929 e nel 1974. Ma la prospettiva impone una domanda: la regina a chi affiderà l’incarico di formare il governo? Il puzzle è complesso. Ieri il Daily Telegraph ha riassunto l’incertezza così: se David Cameron si dovesse imporre con un distacco non superiore al 4,3 per cento, Gordon Brown lo befferebbe con un numero più alto di deputati (non però i 326 necessari per governare da solo) e in tal caso avrebbe il mandato da Buckingham Palace. L’alternativa, per il premier uscente, sarebbe o di dare vita a un esecutivo provvisorio, in attesa di nuove consultazioni, o di siglare un patto di legislatura con i liberaldemocratici di Nick Clegg, l’ago della bilancia che rappresenta il 17 per cento dell’elettorato.
Un quadro inedito nella storia parlamentare britannica degli ultimi 35 anni. I Tory, che erano ormai sicuri di tornare a Downing Street, si trovano nei panni del maratoneta in testa che a pochi chilometri dal traguardo sente il fiato e i muscoli che cedono. Di certo non li aiuta, in questo accenno di capitombolo, la dichiarazione del miliardario Lord Ashcroft, principale benefattore e finanziatore di David Cameron, il quale ha ammesso il suo status di «residente non domiciliato nel Regno Unito», circostanza che gli ha consentito di evadere tasse per centinaia di milioni di sterline. Una bufera che imbarazza i circoli conservatori.
Il sistema britannico è rimasto a lungo al riparo dai contraccolpi determinati dalla precarietà degli equilibri politici. Quella stagione potrebbe davvero essere messa alle spalle. La vigilia del voto consegna indeterminatezza dei programmi economici e timidezze al limite della omertà. Da qui le ricadute sul mercato valutario: la City è nervosa perché manca una leadership politica, laburista e conservatrice, incapace di assumersi il coraggio di «decisioni che devono essere prese». Margaret Thatcher e Tony Blair sono un lontano ricordo. Comunque vada a finire David Cameron e Gordon Brown, se non supereranno le ambiguità, vedono profilarsi una loro sonora bocciatura: entrambi vincitori per finta, entrambi sconfitti per davvero. Londra sta oscillando sull’altalena degli inconcludenti tatticismi politici.
Fabio Cavalera