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 2010  marzo 03 Mercoledì calendario

QUANDO A TRIESTE RIAMMISERO DI PIETRO ARRIVATO IN RITARDO

C’è un precedente molto simile al pasticciaccio brutto della lista PdL esclusa a Roma per ritardo del presentatore. Risale al 2006 e riguarda la lista Italia dei Valori presentata nel marzo di quell’anno per le provinciali di Trieste. C’era tempo fino alle 12 di sabato 11 marzo. E nell’ufficio elettorale della Corte di appello di Trieste c’erano due funzionari del partito di Antonio Di Pietro. Ma non avevano con loro né firme né timbri e lucidi necessari per il deposito. Tutto era in mano a un dirigente locale, Paolo Bassi, che oggi è segretario friulano del partito. In ritardo, terribilmente in ritardo.
La disperazione
Disperati i due dirigenti Idv lo tempestarono di telefonate. Ma alle 12 in punto l’arbitro della cancelleria della Corte d’appello fischiò il fermi tutti. Una manciata di minuti dopo arrivò il povero Bassi, lingua a penzoloni, che si trovò il corridoio sbarrato da una panca e da un piccolo cordone di funzionari di pubblica sicurezza. Un caso quasi fotocopia di quello occorso a Roma al presentatore della lista PdL, Alfredo Milioni. Bassi in quell’occasione non si arrese, gridò e strepitò e alla fine presentò ricorso contro l’esclusione della lista di Di Pietro. E lo vinse. Due giorni dopo la lista fu riammessa e alle provinciali i dipietristi corsero regolarmente, sia pure portando a casa un magrissimo risultato: 2.426 voti pari all’1,75% delle scelte degli elettori di Trieste e provincia. Come vinse il ricorso se lo ricorda bene oggi lo stesso Bassi, che su quel piccolo successo ha appunto fatto carriera: «Sostenemmo che il mio orologio faceva un’ora diversa, e che quindi io ero convinto di essere arrivato in tempo nel palazzo. Gli altri erano stati tratti in inganno dall’orologio del cancelliere che camminava avanti e che però fu usato per regolare l’orologio di tutti i presenti su un’ora sbagliata. Ci diedero ragione e la lista fu ammessa». Certo oggi il diri-gente friulano dipietrista non è che faccia il tifo per la lista PdL del Lazio, ma un po’ sembra quasi che solidarizzi per l’incidente: «Ci sono novità? Hanno fatto ricorso? Può essere riammessa? Eh, il mio fu un caso simile, però un po’ diverso perché i minuti di ritardo furono pochi anche nella contestazione formale. E comunque riuscimmo a fare verbalizzare quello che era accaduto con le nostre contestazioni».
I precedenti
Sfumature, è vero. Ma quello triestino resta l’unico precedente in qualche modo assimilabile a quello romano di queste ore. Perché poi di esclusioni di liste per irregolarità in firme e timbri e di ricorsi successivamente vinti ce ne sono davvero a decine. Uno che fece un certo clamore riguardò sempre il movimento dipietrista nel 2001. Allora si votava insieme alle politiche anche per il rinnovo del consiglio regionale sicilia-
no. Il candidato appoggiato dall’Italia dei Valori era Leoluca Orlando. Ma la lista fu esclusa nella provincia di Agrigento per irregolarità nella raccolta delle firme e nella presentazione delle candidature. In sostanza era stato cancellato a penna un candidato all’ultimo istante perché dal partito era arrivata indicazione contraria. La commissione elettorale aveva quindi depennato insieme al candidato anche tutte le firme che lo sostenevano in calce, con il risultato che le firme complessive non erano più in numero sufficiente. I dipietristi ricorsero al Tar siciliano, sede di Palermo, ammettendo le irregolarità formali contestate, ma appellandosi a un principio più alto e contestando così la «violazione dei principi in materia di massima partecipazione delle liste della competizione elettorale». Contro Di Pietro e i suoi scesero in campo tutte le istituzioni locali e l’avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo.
Battaglia vinta
Ma l’Italia dei valori vinse la sua battaglia. Il Tar prima riammise la lista alla competizione elettorale e poi confermò anche nel merito questa decisione con una sentenza del 14 luglio 2001 che sposò la linea dei ricorrenti secondo cui i principi di massima partecipazione delle liste alla competizione elettorale ”condurrebbero comunque al superamento delle irregolarità riscontrate nella presentazione della Lista Di PietroItalia dei Valori e quindi alla sua ammissione”. Il Tar si richiamò a numerose altre sentenze in materia secondo cui ”la più ampia praticabilità del diritto di elettorato sia passivo sia attivo non può non prevalere nei confronti di mere irregolarità documentali come quelle verificatesi nella fattispecie, sanabili entro brevissimo termine”