LEONARDO COEN, la Repubblica 2/3/2010, 2 marzo 2010
IL COLONNELLO TURCO
Ogni ora, dalle otto del mattino alle sette di sera, va in scena la resa dei conti tra esercito e governo sul palcoscenico dello spiazzo, dietro il cortile di un grigio palazzo che ospita il tribunale di Besiktas, all´inizio di Cigaran caddesi: lì, infatti, si accalcano i giornalisti delle tv, i riflettori, le troupes. I reporter raccontano da dieci giorni gli ultimi sviluppi della clamorosa inchiesta che ha portato all´arresto di 17 generali, 4 ammiragli, una quarantina di colonnelli golpisti delle forze armate turche, chi in pensione, chi in servizio effettivo. Qualche volta lo schieramento delle tv impazzisce, ed è un corri-corri verso il portoncino del tribunale perché stanno per entrare o per uscire gli alti ufficiali inquisiti. I pasha dell´esercito più potente della Nato dopo quello statunitense mostrano allora sguardi smarriti o pieni di rabbia per l´umiliazione subìta in nome della libertà d´informazione, e di una nuova democrazia che ancora non si sa bene che forma stia prendendo; si sentono traditi, e sacrificati dai loro capi, in nome del più crudo pragmatismo; proprio loro che sino a qualche settimana fa si consideravano i padroni della Turchia, gli attori protagonisti del Grande Gioco politico, pronti a rovesciare i governi che secondo loro rischiavano di indebolire la laicità dello Stato voluta da Ataturk e protetta dalla Costituzione, cosa che hanno fatto per quattro volte dal 1960.
Sullo stesso piazzale di affaccia un´università economica privata, altro segno emblematico dei tempi che cambiano, l´economia turca è cresciuta dal 2001 al 2008 a ritmi da record, sconquassando gli antichi equilibri della borghesia oligarchica in cui la lobby militare spadroneggiava, e se Istanbul resta ancora il centro finanziario e industriale del Paese, ci sono però le nuove "tigri anatoliche" ad alterare il tradizionale equilibrio i cui la centralità militare non era messa in discussione; città in spettacolare ascesa come Kayseri, come Gaziantep, Konya, Adana: «Quel che sta succedendo a Besiktas, è rappresentativo di una grande svolta epocale», commenta il professor Ahmet Insel, preside del dipartimento di Economia dell´università di Galatarasay, autore, con altri studiosi, del più importante saggio sulle forze armate, "L´esercito in Turchia/una comunità, un partito".
«E´ la fine di un regime di tutela militare che esiste dalla fondazione della Repubblica - sottolinea Insel - L´ultimo tentativo di intervenire con la forza è stato nel 1997, quando i militari hanno spinto il primo governo islamista di Necmettin Erbakan alle dimissioni, dopo che i generali dichiararono l´integralismo islamico come ”nemico interno´. Oggi, la situazione è molto differente. Dal 2005 sono i corso i negoziati con l´Ue, grazie alla riforma per l´adesione all´Unione europea il processo di democratizzazione ha prodotto modifiche sostanziali e significative nel Consiglio Nazionale per la Sicurezza (organo costituzionale creato dopo il colpo di stato del 1980, in cui i militari dettavano le loro direttrici, e che ora è nelle mani di un civile, ndr.)». Processo osteggiato fieramente dai circoli nazionalisti e dai militari più oltranzisti. L´ondata di scandali e rivelazioni sui loro complotti e i piani per rovesciare il governo di Erdogan, ha prodotto un effetto inarrestabile, erodendo l´immagine dell´esercito, che da sempre si ergeva come "padre fondatore" e quindi tutore della Repubblica.
Qualcosa è cambiato, anche dentro l´apparato militare. Lo dimostra un episodio. Un tempo, quando c´era aria di golpe, la gente guardava con apprensione le finestre della sede del Quartier generale interforze di Ankara, accanto all´Assemblea nazionale. Se le luci restavano accese tutta la notte, allora voleva dire che i militari avrebbero agito: «Ebbene, martedì scorso notte le luci sono rimaste accese sino all´alba ma nessuno ha sentito sferragliare i tanks». Martedì 23 febbraio, il capo di Stato Maggiore Ilker Basbug aveva convocato i comandanti delle 15 Armate turche. Non per scatenare l´ennesimo golpe, ma per per farli ragionare: «Nessun militare degno di indossare la divisa può accettare di tradire il suo popolo».
Dicono che queste parole siano state aspramente criticate dall´opposizione e dalla Turchia laica e nazionalista: ma per le strade di Istanbul come in quelle delle altre grandi città turche la tensione della politica non si è tradotta in manifestazioni o in altro modo, l´altro giorno piazza Taksim era chiusa al traffico, non per protestare contro Erdogan o per solidarietà nei confronti dei vertici militari offesi dagli arresti, bensì dai lavoratori dei Monopoli che sono in sciopero da 175 giorni. E´ vero che sui muri sono comparsi i cartelloni dell´ennesimo film su Ataturk, quest´ultimo si chiama Veda, ossia "Addio", ma il regista è Zulfu Livanezi, un personaggio della sinistra che è diventato famoso come cantante e che ha fatto politica con i socialisti. Ed è anche vero che al bellissimo Museo Militare di Konagi cad, in pieno centro - l´edificio era l´accademia militare dove studiò Ataturk dal 1899 al 1905 - nella sala delle Emigrazioni c´è il tabellone dedicato al mito nazionalista di Ergenekon, nato nel Diciannovesimo secolo, ed Ergenekon si chiama l´associazione segreta e criminale che voleva rovesciare Erdogan. Solo che le scolaresche in visita passano oltre, semmai si interessano al gigantesco quadro di Franz Adain, "Guerra di Piemonte", un olio 242x462 che gli italiani vorrebbero comprare per i 150 anni dell´Unità d´Italia.
Fuori, non lontano, svetta uno dei venti alberghi speciali ed esclusivi di Istanbul - protetti come basi militari - destinati agli ufficiali dell´esercito (che sono 40mila) e alle loro famiglie. Tariffe irrisorie, trattamenti a quattro stelle. Una selva di bandiere ricorda che quella è zona off limits, dove i privilegi si esercitano come se nulla stia succedendo. Hotel, ospedali, supermarket. Holding come l´Okay (fondo pensioni militari) e Tskgv tra le prime conglomerate turche si occupano di commercio, immobiliare, assicurazioni, automobili, prodotti petroliferi, industria alimentare, turismo, cemento, industria aeronautica, chimica, Difesa. La tregua tra i generali e Erdogan ha un suo prezzo. Ancora molto salato.