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 2010  marzo 02 Martedì calendario

PAPA’ GIORGIO GABER ODIEREBBE IL MIO LAVORO

Da piccola avrebbe voluto chiamarsi Maria Rossi, per non sentire tutta quell’attenzione addosso che non capiva. Poi Dalia Gaberscik è cresciuta e ha capito che il suo cognome, ancorché usato per esteso, le avrebbe aperto parecchie porte. Dalla condiscendenza iniziale al potere di oggi la strada è stata lunga e non sempre in discesa. Ora gestisce un impero della comunicazione, Goigest, che vanta nel bouquet nomi come Bolle, Morandi, Baglioni, Pausini, programmi di punta sulle principali reti e persino l’aiutone dato al Festival di Sanremo, come agenzia di rincalzo all’ufficio stampa Rai.
Dalia, non sarà la sola eredità ricevuta quella del nome.
«Ho sempre pensato d’aver trovato la strada per stare vicino ai miei genitori ma dietro le quinte. Da lì ho imparato a conoscere i meccanismi mentali degli artisti, ho affinato un istinto che avevo».
La Goigest è un colosso, lei è sposata e ha figli, come si organizza?
«Ho due soci, ci siamo divisi il lavoro e abbiamo fatto delle scelte precise. Abbiamo sviluppato una forma maniacale per lo spettacolo, il resto lo rifiutiamo. Per esempio la politica, sa quanti ci hanno chiamato per le campagne elettorali? Ministri, leader di partito. Noi no, siamo imprenditori altamente specializzati, non improvvisiamo. Se un cliente va via scontento ne perdiamo dieci».
Con sua madre in politica, di lavoro ne poteva rimediare parecchio. Ma lei politicamente come si colloca?
«L’ultima tornata non sono andata a votare. Sono più simile a mio padre che a mia madre; non ho trovato chi mi rappresenta. Non è facile l’argomento: Bertinotti e Veltroni erano grandi amici di papà. Berlusconi di mamma».
C’è di che impazzire.
«Infatti abbiamo deciso di rinunciare a questi incarichi. Figuriamoci che cosa avreste potuto dire. L’idea di ricevere favori politici mi fa accapponare la pelle».
I suoi inizi le fanno tenerezza?
«No, mi fanno inorridire. La fine del mio inizio mi ha fatto molto soffrire».
Meno criptici si può?
«Ho iniziato nel 1986 e dal ”90 al 2000 ho lavorato all’ufficio stampa di Canale 5, Rete4 e Italia 1. Felice. Sono uscita perché avevano preso un superiore con cui non andavo d’accordo, era terribile, tutto quello che facevo per lui era mal fatto. Ho approfittato della mia seconda maternità per fuggire. Ero disperata, poi ho rischiato del mio e mi è andata bene».
Pensa mai a quel suo capo?
«Ci ho pensato tantissimo. Non è carino ma ho goduto quando ho saputo che l’avevano cacciato. Detesto chi non ti apprezza per partito preso».
Che bel caratterino, perfetta per il Parlamento.
«Mia madre me lo dice sempre, sostiene che ho un gran talento politico. Io penso di no. Un’ingiustizia mi fa inferocire ma per quel mondo ci vuole ben altro».
Che cosa le piace del suo lavoro, il contatto con gli artisti?
«E’ un mercato in continuo movimento, come nessun altro, il lavoro è mostruoso, Web, telefonia, quando credi di aver capito, cambia. Divertentissimo, lo farei pure se non mi pagassero. Mio figlio vede quanto mi piace e dice che vuole le stesse cose».
Che rapporto ha con il potere?
«Se la domanda vera è, ”Suo padre, Giorgio Gaber, avrebbe condiviso il suo lavoro?” La risposta è no. Il mio lavoro è fatto di mediazioni e compromessi, inconcepibile per lui. Però da lui ho ereditato il modo come farlo. Non è nel mio stile chiedere una contropartita, non ho mai messo al traino dei progetti grandi, dei progetti piccoli. Il mio potere è la correttezza e la riconoscibilità. Se dico una cosa, quella è. Una volta mi era stata proposta per Bonolis una copertina di Vanity. Poi però non mi hanno avvertita che la copertina sarebbe cambiata. Ho gridato che ancora mi sentono. Il mio patrimonio sono i rapporti. Del potere altrui, me ne frego».
Tanti nemici tanto onore?
«No, non mi piace. Detesto litigare, non me ne occupo».
Quanto incide sul successo di un prodotto?
«Dipende. Il musical La bella e la bestia si regge sulla comunicazione, il nostro lavoro vale il 40%. Sulla Pausini valiamo come servizio fatto a lei ma, a prescindere, è richiesta in tutto il mondo».
Pentita di non aver abbreviato il suo cognome come suo padre?
«Da quando non c’è più mi dispiace, anche per via della fondazione che porta il suo nome. Però mi sarebbe parso velleitario, chi ero io per avere un nome d’arte?».
Quanto fattura la Goigest?
«Un paio di milioni l’anno ma può variare. Ho 25 collaboratori e per ciascun progetto scegliamo la figura più adatta. Per Amiche per l’Abruzzo abbiamo lavorato in venti».
Chi è il suo cliente preferito?
«Ho adorato lavorare per mio padre, si era stabilita una complicità fantastica, come Mina e Massimiliano Pani, Celentano e Claudia Mori. La complicità non si è interrotta perché è morto. Il dolore per la sua assenza non passa ma il lavoro che faccio mi dà una gioia enorme, è come se stessi ancora con lui. E che bello vedere l’impatto di Gaber sugli altri».
E’ a lui che deve dire grazie?
«A Lucio Presta. Ero appena uscita da Mediaset, senza lavoro. Quando è suonato il telefono mi batteva forte il cuore, mi stava offrendo un lavoro, anche Maurizio Costanzo mi è stato vicino. Per i miei genitori, un grazie non basta».