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 2010  marzo 01 Lunedì calendario

BERNAB, L’ARTE DELLA RESISTENZA NEL CAOS TELECOM

In questi giorni Franco Bernabè si sente più sicuro e rafforzato nella sua posizione di numero uno operativo di Telecom Italia. La maggiore sicurezza è dovuta al deflagrare dell’inchiesta sul traffico telefonico illecito di Telecom Italia Sparkle, la controllata finita nell’occhio del ciclone per una truffa fiscale che vede coinvolti anche personaggi legati alla malavita, sulla quale già due anni fa era stata condotta un’inchiesta interna.
Da ciò che sta emergendo dalle carte dell’inchiesta la frode fiscale perpetrata per diversi anni (almeno dal 2005 al 2007) avrebbe permesso di "taroccare" i conti della Sparkle e quindi anche della casa madre che la consolida.

Tutto questo in un periodo in cui Bernabè non era ancora alla guida del gruppo ma vi erano insediati Riccardo Ruggiero, Carlo Buora e alla presidenza Marco Tronchetti Provera. Il 61enne manager originario di Vipiteno, per sette anni numero uno dell’Eni, con la passione per l’arte contemporanea (è presidente del Mart di Rovereto), ha dunque buon gioco nel sostenere che l’azienda che si è trovato in mano due anni fa non era certo un gioiellino e un modello di trasparenza come i suoi predecessori cercavano di accreditare. E chi fino a qualche settimana fa si lamentava per la scarsa incisività dell’azione di Bernabè sui conti di Telecom oggi può solo recriminare per il forte calo dei clienti di Tim, colpita dal forte dumping di operatori concorrenti come Wind e 3. A ciò si aggiunga che il manager che qualcuno in Mediobanca soprattutto Cesare Geronzi voleva catapultare al vertice di Telecom al suo posto, cioè Stefano Parisi, è stato colpito duramente da un avviso di garanzia nell’ambito della stessa inchiesta essendo stato in quel periodo amministratore delegato di Fastweb al fianco di Silvio Scaglia, finito agli arresti.
Parisi nello scorso autunno ha fatto campagna elettorale per cercare di prendere il posto di Bernabè essendo sponsorizzato in primo luogo da Fedele Confalonieri e da Geronzi che in tutti i modi hanno cercato di provocare un cambio della guardia al vertice di Telecom in modo che Mediaset e Berlusconi potessero infilare un piede all’interno dell’azienda telefonica. Ma il piano appare oggi completamente affossato, proprio alla luce della perdita di credibilità di Fastweb e del suo vertice operativo.
Tra l’altro, tra gli eventi critici che lo scorso autunno Geronzi addebitava a Bernabè vi era anche quello di non aver rispettato i consigli di Mediobanca nella vendita di Sparkle. La società che gestisce il traffico telefonico con l’estero del gruppo Telecom era infatti stata inserita nella lista delle dismissioni. Tanto da aver raccolto anche un interessamento all’acquisto da parte del fondo F2I gestito da Vito Gamberale. Ma poi non se ne fece niente e senza alcuna spiegazione la società è stata tolta dalla lista delle cedibili. Un mistero che ora sarebbe il caso di chiarire.
Per la verità Bernabè in diversi casi è riuscito a resistere al pressing del mondo berlusconiano sul gruppo da lui guidato, ma in altri ha dovuto cedere. Per esempio, ha opposto il suo diniego alla richiesta, sempre veicolata attraverso Geronzi, di assumere alla direzione de La7 Clemente Mimun ma non è riuscito a dir di no a Berlusconi in persona che gli chiedeva di rinunciare alla vendita dei multiplex di Telecom Italia Media, vendita che era arrivata alla fase delle offerte vincolanti poi precipitosamente accantonata. E infine, fatto questo risalente a giovedì scorso, ha dovuto assumere Piero Vigorelli, giornalista di chiare preferenze forzaitaliote, alla presidenza di Telecom Italia Media Broadcast con il modico, si fa per dire, stipendio di 400 mila euro all’anno, proprio per non inimicarsi completamente l’ambiente di Mediaset e dintorni.
Tutto ciò fa riflettere sull’attenzione che la corazzata televisiva che fa capo al premier, e che per via politica ha un’influenza dominante anche sulla Rai, ha nei confronti di un piccolo polo televisivo che conta per il 3,5% di share. La concorrenza, insegnano, bisogna stroncarla subito, altrimenti cresce e ti mangia.
Tuttavia la vera domanda a questo punto è: Bernabè affonderà il colpo con azioni di responsabilità verso le precedenti gestioni sollevando così il coperchio sulla reale attendibilità dei conti Telecom o tutto finirà nel dimenticatoio? In effetti, sin dall’inizio del suo mandato, scattato nel dicembre 2007, in molti si aspettavano un’entrata a piedi uniti del manager su alcune aree grigie della precedente gestione. Così come aveva fatto ai tempi dell’Eni. Ma così non è avvenuto, Bernabè si è mosso in maniera felpata anche nell’inserimento della nuova squadra di comando, puntando inizialmente a migliorare i rapporti dell’azienda nei confronti dell’Authority di settore, l’AgCom, con cui Tronchetti Provera era entrato in rotta di collisione.
Attraverso i buoni uffici di Franco Brescia arrivato in Telecom sotto la presidenza di Guido Rossi come responsabile dei rapporti istituzionali, carica che ha ripreso in questi giorni in effetti il clima con l’autorità vigilante è migliorato notevolmente tanto da riuscire a ottenere un aumento del canone e delle tariffe di terminazione nonostante le proteste degli operatori alternativi. E anche nella delicata area dei controlli interni Bernabè ha confermato Federico D’Andrea, maresciallo della Guardia di Finanza che collaborava con il pool milanese ai tempi di Mani Pulite e che era stato assunto in Telecom nel gennaio 2007 sempre sotto la presidenza Rossi. In ogni caso, nei primi due anni del suo mandato, Bernabè ha continuato a muoversi con estrema circospezione, tanto che Repubblica aveva adombrato l’esistenza di una sorta di gentlemen’s agreement tra Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi i suoi grandi elettori volto a non gettar fango sulla gestione precedente. La risposta di Tronchetti Provera non si fece attendere, in una lunga lettera diretta a questo giornale scrisse: «Di falsità sulla nostra gestione ne sono state dette molte. Non c’è stato mai nessun "gentlemen’s agreement" perché, come penso di aver dimostrato, non sono incline a certi "negoziati" e soprattutto perché non c’era bisogno di accordarsi su nulla. Non c’è nulla da nascondere, nulla da scoperchiare. Credo che nessuna società sia stata in questi anni sotto i riflettori come Telecom Italia. Anche volendo, sarebbe stato difficile occultare alcunchè.... Dove sarebbero le "taroccature" gestionali e finanziarie che i revisori, il collegio sindacale, i comitati audit e i consigli di amministrazione (composti per la maggioranza da consiglieri indipendenti), gli audit interni effettuati dopo la mia gestione, la Consob e la Sec, non hanno mai trovato e che meriterebbero azioni di responsabilità per la precedente gestione?».
Una prima risposta alle parole di Tronchetti Provera arriva con la lettura degli atti della "Truffa colossale" scoperta la settimana scorsa nei bilanci di Fastweb e Sparkle. In particolare, nell’ordinanza con cui si è proceduto agli arresti di 56 persone, una tabellina sinteticamente riepiloga i benefici della truffa per Sparkle (e quindi per Telecom che la consolida): 12,1 milioni nel 2005, 46,8 milioni nel 2006, 13,2 milioni nel 2007, totale 72,2 milioni di margine in più in tre anni. Soldi in più grazie ai quali si possono raggiungere gli obbiettivi prefissati dai manager, come si evince da una mail inviata il 22112005 da Arturo Danesi all’amministratore delegato di Sparkle Stefano Mazzitelli: «Come vedrai, Acumen (una delle società estere attraverso cui transitava la truffa dell’Iva non versata, ndr.) ci ha consentito di recuperare lo shortfall sul 3° forecast, mentre il pusch su Sal dovrebbe consentirci l’upside che ti ha chiesto Ruggiero (diciamo +10mlnE)». Parole che inducono i giudici ad affermare: «Dalle sopra evidenziate email emerge come il rapporto Acumen Uk LtdIGlobe srl sia stato determinante per il perseguimento degli obbiettivi aziendali».
Bastano queste frasi per dire che l’ipotesi di "taroccamento" dei conti in Telecom non era così campata per aria. E ci sono molte aree del bilancio, a sentire fonti interne al gruppo, dove il controllo interno si sarebbe dovuto concentrare: dalla capitalizzazione delle spese correnti che abbassa i costi e accresce gli investimenti, agli allineamenti contabili delle dichiarazioni manuali che ogni mese fanno i responsabili di settore, alle telefonate mai fatte che però poi risultano in bolletta, ai soldi accantonati passando dal metodo di competenza a quello per cassa che ha consentito di creare la provvista per le mega liquidazioni dei dirigenti, e così via.
Bernabè ha dato un colpo di freno a tutto ciò ma la sterzata vera e propria non è ancora avvenuta, tanto è vero che i responsabili della Sparkle arrestati la settimana scorsa lavoravano ancora negli uffici Telecom nonostante gli avvertimenti dell’audit di D’Andrea concluso nel luglio 2007.
Se ora Bernabè è veramente più forte di prima potrebbe accelerare verso la fase due.