SIMONETTA FIORI, la Repubblica 1/3/2010, 1 marzo 2010
«A 90 ANNI SONO DIVENTATO OTTIMISTA»
«Detesto i festeggiamenti, ma a novant´anni - li compio il 3 marzo - mi è difficile proibirli». Con passo sicuro Denis Mack Smith attraversa la residenza di White Lodge, un inglesissimo villino bianco con grandi vetrate affacciate su una distesa verde. da questo paesaggio alla Jane Austen che per oltre mezzo secolo lo studioso ha esercitato il ruolo di coscienza critica della storia italiana. «Venni ad abitare qui grazie a Isaiah Berlin», racconta l´italianista di Oxford mentre si fa strada nel giardino, a Headington «Lui viveva nella villa accanto e mi parlò di questa casa costruita alla fine del XVIII secolo». Gli occhi si stringono in una fessura. «Il mio amico Berlin era davvero straordinario in tutto: quando parlava italiano era così veloce che neppure io riuscivo a stargli dietro».
Quella per l´Italia è una passione antica, maturata negli anni della scuola. «Ero molto incuriosito dalla penisola, dal suo clima latino. Da ragazzo provai a studiarne la lingua, ma feci tutto da solo, sostanzialmente un autodidatta». Figura elegante, lo sguardo perennemente tentato dall´ironia, Mack Smith sembrerebbe figlio del più esclusivo ceto intellettuale britannico. «In realtà mio padre faceva l´ispettore delle tasse a Bristol: io sono stato il primo della mia famiglia a prendere una laurea». La sua tesi fu dedicata al nostro Risorgimento. E alla fine della guerra, ventiseienne, Denis s´affrettò nel paese di Cavour e Garibaldi. «Era il 1946, ottenni dal mio college una borsa di studio di poche sterline. Così passai un anno tra gli archivi, divorando solo libri e poco altro. Ricordo ancora la fame e il silenzio. Ho vissuto interi mesi senza parlare. Mi muovevo in un´atmosfera strana, difficile da decifrare, il paese era ancora scosso dalla guerra. Ebbi poi la fortuna di incontrare a Napoli Benedetto Croce, che mi aprì biblioteche e amicizie. L´unico problema era il suo accento: non riuscivo a capire una parola!».
Per una sorta di congiunzione astrale, la sua vita è strettamente intrecciata al destino nazionale italiano. Il libro che fece più scalpore - La storia d´Italia - uscì da noi nel 1959, a due anni dal centesimo anniversario dell´Unità d´Italia. E il suo novantesimo genetliaco precede di poco il nostro nuovo disastrato compleanno. «Per me l´Italia rimane un groviglio complicato, difficile da sciogliere», dice soppesando le parole. Nessun altro ha narrato le nostre storie di famiglia con eguale scettica acutezza. Il suo disincanto è stato promosso a sana abitudine della mente. Però ora, a novant´anni, Mack Smith si sottrae al ruolo di fustigatore dell´italianità «Oggi sento l´urgenza di essere ottimista. Uno storico non può - non deve - accomiatarsi dal lettore con accenti apocalittici. Le celebrazioni per l´Unità d´Italia si misureranno con tutte le incompiutezze nazionali, ma non bisogna esagerare nel disfattismo. Il mio amico Christopher Duggan sostiene che l´Italia appare un´idea ancora troppo malcerta e contestata per poter fornire il nucleo emotivo di una nazione, almeno di una nazione in pace con se stessa. La definizione non mi dispiace, purché non ci si lasci prendere da un eccesso di sconforto. L´Italia di oggi è incommensurabilmente più robusta e ricca che un secolo e mezzo fa». Solo quando accenna al berlusconismo, l´ottimismo volontario lascia tradire qualche crepa: «Non mi sembra una novità nella storia italiana: il populismo, il sovversivismo, l´assenza di regole fanno parte della trama che lo precede». Si ferma e guarda oltre il giardino. L´argomento sembra annoiarlo, o forse non lo riguarda più.
Per lui la storia d´Italia è quella raffigurata sulle pareti di casa, il ritratto di Garibaldi acquistato con pochi pounds da un libraio di Cambridge («Non capiva granché di politica, tuttavia un valente e onesto cavaliere»), o la ceramica di Vittorio Emanuele II a cavallo («Neppure il re, a dire il vero, era molto intelligente...»). Dei nostri sovrani, eroi e governanti ha rivelato ottusità, cinismi e compromessi. Per questo è stato liquidato come «antitaliano» e demolitore dell´orgoglio patrio. Invece «la storia d´Italia nasceva dal bisogno inconscio di spiegare al pubblico anglosassone perché il vostro paese - un paese che io amavo molto - fosse stato capace di inventare il fascismo e muovere guerra alla democrazia». Così andò in ricerca delle nostre più antiche debolezze, trovandole tra le pieghe del processo risorgimentale. Quando la Storia d´Italia vide la luce, nel 1959, fu un vero scandalo. Gli storici più paludati gli rimproverarono un eccesso di semplificazione. «In realtà io non l´avevo scritta per un pubblico italiano. A convincermi fu la tenacia di Vito Laterza, consapevole della forza dirompente del lavoro. Sia Gaetano Salvemini che Federico Chabod mi avevano dissuaso dal pubblicarlo in Italia. Ma Laterza insistette, anche per suscitare discussione. Io non ero sicuro di tutti i miei giudizi, disponibile dunque a una correzione. L´editore, però, non volle modificare una riga». Oggi la sua Storia è tra le più vendute, assecondando il nostro sottile piacere di essere osservati da uno sguardo esterno con temperata severità. «Il libro rappresentò una novità anche per la scrittura. Uno studioso di formazione anglosassone deve trovare sempre il modo per farsi leggere fino in fondo, naturalmente nel rispetto della verità. A quell´epoca gli storici italiani non si ponevano minimamente il problema». Rosario Romeo definì la sua Storia «un libello», e per il ritratto di Cavour ricorse a una formula sprezzante: «Ogni riferimento a fatti realmente accaduti è puramente casuale». «Sì, era animato da invidia ma anche da risentimento», sorride con distacco Mack Smith. «Era così offeso che un giorno si rifiutò di stringermi la mano, very unpolite. Pensava che i miei saggi facessero male ai lettori italiani. Romeo era un purista, storico eccellente, tuttavia anche un po´ tiranno». Non fu facile la convivenza neppure con Renzo De Felice, assai critico verso il suo Mussolini. «Non si capacitava che uno storico non italiano avesse avuto così tanto successo. Io mi sentivo molto diverso da loro». Diversi erano anche i due Cavour ritratti da Romeo e da Mack Smith, più monumentale quello dello storico siciliano, più incline a spregiudicatezza e intrigo quello dello studioso inglese. «Ma probabilmente Romeo aveva ragione. Nel rintracciare le cause della fragilità italiana, forse sui difetti di Cavour ho esagerato. La semplificazione, per lo storico, è un rischio sempre in agguato».
Avrà pure ridotto la storia nazionale a un piano inclinato, in cui da Cavour a Mussolini e alla democrazia trasformista tutto scorre in modo fin troppo fluido. Ma l´Italia smarrita di oggi sembra dare ragione al vecchio maestro. «Sì, forse un po´ di ragione l´ho avuta anche io, ma in modo del tutto accidentale». Dieci anni fa ha ceduto alla biblioteca universitaria di Oxford i suoi diecimila volumi italiani. «Sono più utili là che sugli scaffali di casa», s´accomiata nella luminosa veranda, in compagnia della moglie Catharine. «Le confesso che per me è stata una sorta di liberazione, come un passaggio di testimone. Dopo mi sono sentito meglio, molto più leggero».