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 2010  marzo 01 Lunedì calendario

I 90 ANNI DI DENIS MACK SMITH L’ITALIA CON OCCHI BRITANNICI

Sono un’appassionata lettrice delle vicende del nostro Paese fra ”800 e ”900. Ma soprattutto mi piace conoscere quanto gli studiosi e gli storici stranieri hanno scritto su di noi, sui nostri protagonisti e sugli avvenimenti-chiave degli ultimi due secoli. Per esempio, di Denis Mack Smith ho letto parecchi libri, trovando sempre di grande interesse le sue pagine. Ma da un po’ di tempo mi accorgo che di suoi libri non ne escono più; e mi piacerebbe sapere il perché.
Maria Luisa Castagna
mlcastagna@libero.it
Cara Signora, Denis Mack Smith è nato nel 1910 e compie ora i novant’anni. questa la ragione per cui lei non ha avuto occasione di trovare in libreria studi recenti di uno storico britannico che è stato sempre amato dai lettori, ma fortemente discusso dai critici e da qualcuno di essi contestato.
Ma nelle sue occasionali interviste al Corriere, Mack Smith dimostra di non avere perduto la curiosità e l’intelligenza con cui ha sempre seguito le vicende del nostro Paese. Pochi altri studiosi possono vantarsi di avere esplorato a tal punto la storia nazionale italiana. Il suo primo libro, pubblicato nel 1954, è una affascinante descrizione dei rapporti che intercorsero tra Cavour e Garibaldi. Da allora ha scritto una storia dell’Italia moderna, una storia della Sicilia dal Medio Evo al Risorgimento, una storia del Corriere della Sera, biografie di Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele II, Mussolini, Mazzini, ritratti di Umberto I e Vittorio Emanuele III, numerosi saggi sulla formazione dell’Italia unita.
Uno dei più vivaci scontri con i suoi critici italiani risale al maggio del 1970 quando apparve presso Laterza l’edizione italiana della sua storia della Sicilia. In occasione della presentazione del libro a Palermo, uno storico siciliano disse sprezzantemente che l’autore era il «Montanelli di Oxford». Si riferiva naturalmente alla «Storia d’Italia» montanelliana, di cui erano già stati pubblicati alcuni volumi, e in particolare a quello sul Seicento, apparso da poco. Montanelli, che aveva appena dedicato una eccellente recensione alla Storia della Sicilia, ne fu felice. Sotto la data del 2 maggio 1970 scrisse nel suo diario che lui e Mack Smith avevano gli stessi nemici: «quegli insopportabili pedanti accademici». E aggiunse: «Credo che facciamo entrambi un buon affare, e anche un affare buono: se riusciamo a squalificare agli occhi del pubblico la storiografia accademica (...), avremo reso un grosso servigio alla cultura». In realtà fra i due esistevano molte differenze.
Il primo aveva una solida formazione storica, iniziata alla scuola di George Macaulay Trevelyan, il secondo una formazione letteraria e giornalistica. Ma avevano entrambi la capacità di narrare gli eventi e di trasportare il lettore nei tempi a cui dedicavano i loro studi. Fecero amicizia e parteciparono insieme a parecchi incontri con il pubblico. Erano entrambi molto alti ma di carattere alquanto diverso: polemico e tagliente Montanelli, distaccato, ironico e apparentemente pigro Mack Smith.
Ma quali erano – lei potrebbe chiedermi a questo punto – i peccati e le colpe che alcuni storici italiani (fra cui Rosario Romeo) rimproveravano alla studioso di Oxford? Sostenevano che era troppo aneddotico, che la sua documentazione non era sempre completa, che certe interpretazioni della storia erano molto discutibili. In alcuni casi non avevano torto. Ma credo che i loro giudizi fossero influenzati dalla combinazione di ironia e severità con cui Mack Smith affrontava alcuni passaggi cruciali della storia italiana. Ci fu in quelle reazioni una certa dose di patriottismo corporativo. Difendevano la loro Italia, ma anche, contemporaneamente, la loro corporazione.
Sergio Romano