Fernando Mazzocca, Il Sole-24 Ore 28/2/2010;, 28 febbraio 2010
LA RIVOLUZIONE DEI SEMPLICI
Il "sogno italiano" evocato da questa mostra (la prima dedicata in Italia ai Preraffaelliti rappresentati in rapporto con il nostro paese), identifica e segue percorsi differenti e paralleli, cercando di intrecciarli. L’amore per l’Italia nell’Inghilterra vittoriana aveva prima di tutto una colorazione politica, di istintiva simpatia per la causa risorgimentale. Garibaldi è stato una leggenda anche oltre Manica. Dante Gabriel Rossetti, fondatore, non a caso nel settembre proprio del 1848, insieme a William Hunt e a John Everett Millais della famosa confraternita, era nato nel 1828 a Londra dal turbolento e estroso Gabriel, un focoso abruzzese originario di Vasto che era stato carbonaro e come tanti perseguitati italiani era entrato a buon diritto nella schiera di esuli illustri riparati in Inghilterra come Foscolo e Mazzini. Poeta di buona vena, trasmise al figlio e, per suo tramite, ai pittori che andarono via via aderendo al nuovo movimento, l’amore per Dante, al quale aveva dedicato una poderosa trilogia. In essa identificava il "divino poeta" con un massone ante litteram
che aveva farcito le sue opere di codici segreti volti ad attaccare il papato.
I tre fondatori Rossetti, Hunt e Millais – la cui età oscillava tra i diciannove e i ventuno anni – diedero alla loro confraternita il profilo di un’appassionata società segreta che, animata dalla smania adolescenziale di cambiamento, intendeva rivoluzionare l’arte e con questa la società, in radicale antagonismo con la morale e le ipocrisie vittoriane. Nel 1848 si sentivano dunque molto vicini ai moti che altrove, tra Parigi, Vienna, Milano, Venezia e Roma, stavano sconvolgendo tutta Europa.
Ma per loro l’Italia non era solo la terra dove si stava lottando per la libertà, ma anche la culla di una grande civiltà, quella del Medioevo e del primo Rinascimento, precedente il Raffaello che si era corrotto andando a dipingere in Vaticano. La letteratura e la pittura contraddistinte da personalità straordinarie come quelle di Dante e Boccaccio, Giotto e Beato Angelico, potevano servire da ispirazione per rigenerare l’arte, combattere la corruzione, esorcizzare i demoni della modernità, ritornando ad una sorta di età dell’innocenza. Insomma bisognava ricominciare tutto daccapo, recuperando lo sguardo innocente dell’infanzia.
Visitare la penisola per gli artisti che a vario titolo aderirono alla confraternita (noti e meno noti ma tutti ben documentati in mostra da molte testimonianze grafiche e da dipinti dove si riflette l’esperienza italiana) significò riscoprire, tra Verona e Venezia, Lucca e Firenze, antiche mura cariche d’arte e di storia. Quelle stesse antiche mura che lo storico John Ruskin aveva saputo riconsegnare alla sensibilità contemporanea attraverso i suoi straordinari disegni – di cui viene offerta un’adeguata selezione in mostra – e i suoi popolarissimi libri Pittori moderni
e Le pietre di Venezia.
Fu Ruskin, nonostante i contrasti insorti con Rossetti e Millais (che gli rubò la moglie), a fiancheggiare i Preraffaelliti e a prenderne sempre le difese, quando le loro opere fecero la loro comparsa nelle esposizioni della Free Society e della Royal Academy di Londra facendo andare in bestia i critici benpensanti. Il loro comportamento veniva considerato irritante perché ostentavano disprezzo per l’autorità e le regole della Royal Academy, dove pure avevano studiato. Poi, trattavano i temi sacri con uno scandaloso e inquietante realismo, mettendo a fuoco ogni dettaglio naturale, come se fosse osservato attraverso un microscopio. Questo era invece (per Ruskin come lo sarà per noi) il fascino della loro pittura, che sembra anticipare le visioni allucinate dei Simbolisti e dei Surrealisti. Un dipinto dimostrativo della loro ispirazione agli antichi pittori italiani e fiamminghi, come della loro ossessione realistica, è il Cristo nella casa dei suoi genitori (Londra, Tate Gallery), che venne esposto nel 1850 e che scandalizzò per l’esibizione troppo volgare di un ambiente invaso dai trucioli che assomigliava troppo a una falegnameria contemporanea. Nell’osservare il quadro lo stesso Dickens si scandalizzò definendo il Cristo fanciullo «un odioso e singhiozzante ragazzino dai capelli rossi con il torcicollo e vestito con un lenzuolo» e Maria addirittura «odiosa nella sua bruttezza».
Nei dipinti successivi di Rossetti, Hunt, Sandys, Burne-Jones, Leighton – presentati in mostra preceduti da una scelta di tavole di Primitivi italiani tra cui Taddeo di Bartolo, Mariotto di Nardo, Beato Angelico, Pietro Perugino, Timoteo Viti, Lorenzo Costa – le tematiche mitologiche e allegoriche, le incursioni nel mondo misterioso di Dante e in quello sensuale di Boccaccio, si percepisce un decisivo allontanamento dal provocatorio realismo originario. Finì per prevalere una dimensione nuova pervasa dal culto di una bellezza senza tempo che farà progressivamente dimenticare le istanze rivoluzionarie e i furori etici della prima ora. Ognuno prenderà la propria strada. Ci si inoltrava nei percorsi più generici e disimpegnati dell’estetismo, una formula seducente che, grazie al favore e alla capacità promozionale di D’Annunzio, avrà larga fortuna anche in Italia.
Ma resisteva il fascino di capolavori legati proprio al "sogno italiano" , dove l’arte si intrecciava alla vita, come Dantis Amor
di Rossetti, ispirato alla sempre più popolare mitologia della Beatrice dantesca, o Il Dolce far Niente di Holman Hunt. Il dipinto ha una storia inquietante, perché in origine ritraeva la modella Annie Miller di cui il pittore era follemente innamorato, tanto da rompere ogni rapporto, quando si rivelarono fondati i suoi sospetti che posasse per altri artisti. Lasciò dunque l’opera incompiuta, per riprenderla cinque anni dopo, ma ispirandosi ora a un ritratto della moglie sposata nel 1865 e morta poco dopo dando alla luce un figlio.
Ne è risultata un’immagine struggente e sensuale, ispirata alla popolare filosofia della vita italiana, che riunisce in una dimensione onirica i tratti delle due donne amate dall’artista.