Fabio Martini, La Stampa 28/2/2010, pagina 12, 28 febbraio 2010
FORMICA: IL RICHIO E’ LO SPAPPOLAMENTO DELL’INTERO STATO
Dal «mariuolo» Mario Chiesa al «birbantello» Angelo Balducci. La domanda è se, diciotto anni dopo, l’Italia sia tornata alla stagione di Tangentopoli. Inauguriamo una serie di interviste a protagonisti di ieri e di oggi, testimoni di un periodo che ci auguravamo passato.
Siamo dentro una nuova, grande Tangentopoli? No, stavolta la crisi è più grave, perché in Italia si sta diffondendo una pandemia mai vista prima, che può portare al collasso dello Stato. Parola di Rino Formica. Pochi, come lui, conoscono meccanismi e segreti della "macchina del potere" e oltretutto l’ex ministro socialista è un personaggio che non ha mai smesso di pensare controcorrente anche quando era granitico uomo di governo. «Guardi, per me sarebbe facile ripetere: noi lo "facevamo" per il partito, mentre questi di oggi pensano ad arraffare per sé e chi se ne importa del resto. Ma la questione è più seria: stavolta, per la prima volta nella storia unitaria, si rischia lo spappolamento dello Stato, snervato nei suoi gangli vitali. Con un’aggravante: nell’opinione pubblica cresce un disgusto senza reazione, si attendono fatalisticamente nuovi eventi più squalificanti». Ottantatre anni, ma ne dimostra tanti di meno, dirigente del Psi degli anni d’oro di Craxi, autore di celebri aforismi, anche stavolta Formica va all’attacco.
Sarà banale, ma viene spontaneo pensarlo: ci risiamo? O forse Tangentopoli non ci ha mai lasciati?
«Tutte balle! Giustificazionismo dei reduci. Cominciamo col dire che è difficile trovare simmetrie tra allora e oggi. Di allora sappiamo tutto, tutto è chiaro. Di questa nuova pandemia invece non si capisce ancora la profondità, l’estensione, la qualità né la quantità».
Dagli scandali degli ultimi mesi par di capire che - oggi come allora, come sempre - l’Italia è il regno degli amici, delle spintarelle, delle percentuali...
«Sì, ma nel 1994 entrò in crisi un sistema con delle regole, oggi è in crisi lo Stato. Non eravamo mai arrivati a questo punto. Quelli della mia generazione avranno fatto tanti errori, ma noi non abbiamo mai scardinato lo Stato».
Formalmente no, sostanzialmente se ne può discutere...
«No, non è mai entrato in crisi lo Stato, neppure nei passaggi più traumatici. Non dopo la prima guerra mondiale, non durante il fascismo e neppure quando si sdoppiò, tra Salò e Brindisi. E resse anche dopo una guerra persa».
E come mai resse anche allo corrosione di una corruzione pervasiva?
«Perché avevamo alle spalle 50 anni di cultura politica del "quasi". Una cultura che aveva fatto vivere bene tutti. Eravamo quasi in Occidente, eravamo una quasi-democrazia, eravamo quasi-comunisti, c’era una quasi-religione, eravamo amici di tutti. Insomma, l’Italia ha vissuto su questa gattopardesca capacità di sopravvivenza. Ma ora - con la competizione internazionale e l’indebolirsi delle autorità sovranazionale - scopriamo che siamo senza-Stato».
Dal quasi al senza, cosa è un nuovo aforisma formichiano?
«Non è un aforisma. Per responsabilità delle classi dirigenti della transizione, l’Italia sta passando dai quasi-partiti ai senza-partiti. Dal quasi-Stato al senza-Stato».
Che in Italia possa entrare in crisi lo Stato sembra una boutade...
«Non lo è. Il mio non è un atteggiamento moralistico, ma in questo momento non c’è una sola area dello Stato che non sia attaccata dalla pandemia. Ogni ramo è corroso dalla criminalità, dalla compromissione, dal comparaggio. L’ultima vicenda, quella del riciclaggio, non è il solito Brambilla che ha fatto la fattura falsa, è una vicenda sfacciata che investe i più alti rappresentanti di un servizio pubblico. Se Telecom ha davvero organizzato riciclaggio, chi può escludere che abbia una sua informazione privata? Siamo alla caduta di ogni freno inibitorio, non c’è rispetto della legge, della legge morale, del comune sentire. E lo Stato è forte quando previene, non quando reprime».
Se la sentirebbe di aggiornare il suo motto «la politica è sangue e merda»?
«No, la politica è stata passione e contaminazione. Ma quando la politica viene estirpata, non è più niente, né passione né contaminazione. E infatti, cosa si dice? Che siamo in una situazione liquida!».
E secondo lei dove si va a sbattere?
«Può crescere la domanda di massa per un rafforzamento dello Stato e a quel punto il passaggio all’autoritarismo di Stato può diventare obbligatorio. Fino a qualche giorno fa questa tendenza avrebbe potuto incarnarsi in Bertolaso, uno che fa salvataggi energici ma disarmato. Per tornare alla democrazia, servirebbe uno choc, un’Algeria. Il vero punto di svolta nella lotta alle Br fu quando dissero che volevano colpire "il cuore dello Stato, per sradicarlo". Si capì che era in gioco lo Stato e gli italiani scelsero».