Paolo Scotti, il Giornale 27/2/2010, pagina 38, 27 febbraio 2010
INTERVISTA A CRISTIANA CAPOTONDI
«Fai Sissi? Cavolo, è il mio mito! Sei grande, Cristiana: grandissima!». E meno male che le ragazze d’oggi non amano più il romanticismo. «Questa è solo una delle centinaia di mail che tante mie coetanee mi hanno inviato, appena saputo che avrei interpretato la più famosa delle regine - ride Cristiana Capotondi -. Quand’ero bambina io, Sissi era il mio mito, il mio sogno. Si vede che eravamo in tante, a sognare». Ma non sarà solo sogno, la Sissi televisiva che - in onda domani e lunedì su Raiuno, per la regia di Xaver Schwarzenberger – nei sontuosi panni della radiosa imperatrice d’Austria, sposa di Francesco Giuseppe e nota al cinema col volto di Romy Schneider, vedrà proprio la giovane attrice romana. Icona d’un sentimentalismo seducente ma piuttosto dolciastro, che sorvolava sulle inquietudini d’una donna molto meno stucchevole della sua leggenda, Elisabetta, detta Sissi, sarà finalmente raccontata com’era davvero? «Dalla serie di film con la Schneider sono passati quasi sessant’anni – riflette Cristiana -. Noi manterremo il coté romantico di quella che, almeno agli inizi, fu realmente una favola. Una diciassettenne bellissima che sposa, amandolo e riamata, il bellissimo sovrano del più potente impero dell’epoca. Come si possono ignorare questi, che sono i tipici elementi fiabeschi? Ma nella nostra Elisabetta c’è anche dell’altro». Per esempio? «La donna autonoma, moderna e, grazie all’educazione vagamente liberale del padre conte Max, che apparteneva al più ”progressista” ramo cadetto dei Wittellsbach, insofferente del rigido protocollo di corte. Ma soprattutto sinceramente desiderosa di rendersi utile al suo popolo. Fu lei a spingere il marito imperatore a riconoscere i diritti dei sudditi ungheresi; e certo contribuì anche politicamente a trasformare l’impero solo austriaco in austroungarico. In questo modo salvandolo. Una donna importante anche per i libri di storia, insomma; non solo per i film romantici». E per lei? «Oh, io ho sempre pensato a lei come a Cenerentola e a Calamity Jane. Alla ragazzina che vive una fiaba reale e, al tempo stesso, da maschiaccio diventa emblema della femminilità. Ho dovuto superare quattro provini, per arrivare a interpretarla, io, un’italiana, in una coproduzione cogli austriaci. Quando mi hanno assegnato il ruolo, la mia famiglia e i miei amici erano felici: evidentemente il mito è ancora vivissimo». Grazie anche a Romy Schneider. Un confronto scomodo? «Scomodissimo. Ma ho sempre pensato che quella Sissi allegra, felice, regina in un sogno che sembra un’operetta è e rimarrà per sempre Romy. La mia Sissi è più consapevole del suo fascino e del suo peso politico. E più toccata dal dolore: come accadde nella realtà (ma non veniva raccontato nei film) giovanissima perderà la figlia di appena due anni, sentendosene colpevole per tutta la vita». Tuttavia anche voi avete deciso di raccontare solo la prima parte della sua vita, quella felice, sorvolando sulle tragedie e i problemi psicologici che ne afflissero la seconda. «Si, perché se parli di Sissi non puoi prescindere dalla fiaba, che durò fino a quando fu incoronata regina d’Ungheria. Il pubblico amerebbe allo stesso modo la donna perseguitata dai lutti, la madre che perde il figlio Rodolfo a Mayerling, che rischia l’anoressia e la follia, che dai quarant’anni in poi rifiuta di farsi fotografare, e copre tutti gli specchi della reggia per non vedersi invecchiare, finendo assassinata da un anarchico?». Molto bella, molto amata, molto infelice. Qualche analogia con la principessa Diana del Galles? «Solo le sofferenze potrebbero accomunarle. Ma, con tutto il rispetto per chi ama il ricordo di Diana, quanto a dignità e prestigio Sissi fu una vera imperatrice; un vero personaggio storico. Diana è stata soprattutto un personaggio mediatico». Da Orgoglio a Rebecca Cristiana Capotondi sembra destinata alle romantiche eroine in costume. «Fino a un certo punto. Ora sto realizzando due personaggi modernissimi: in La passione di Carlo Mazzacurati, con Silvio Orlando, e in Dalla vita in poi, con la regia di Gianfranco Lazzotti, accanto a Filippo Nigro e Nicoletta Romanoff».