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 2010  febbraio 27 Sabato calendario

INDIA, PAKISTAN E IL GRANDE GIOCO DELLE SPIE - I

sorsi di Johnny Walker etichetta Blu sciolgono la tensione e diluiscono i sospetti reciproci. Ore chiusi insieme nello stanzone a guardare le immagini elettroniche rilanciate dai droni e a guardarsi le spalle da quelli che dovrebbero essere gli alleati nella guerra di spie al confine tra l’ Afghanistan e il Pakistan. I brindisi al whisky (offerti dagli americani) per celebrare un successo contro i talebani e corroborare un matrimonio disfunzionale lungo trent’ anni. Alla fine degli anni Settanta l’ obiettivo comune era chiaro. Cacciare i sovietici da Kabul o almeno fargli rimpiangere di essere scesi dal passo Salang, a nord della capitale. Da allora la Cia e l’ Isi, i servizi segreti di Islamabad, hanno trascinato una relazione bollata da molti bassi e qualche alto. «I rapporti tra le due agenzie sono migliorati negli ultimi mesi - scrive il New York Times - dopo il totale deterioramento nell’ estate del 2008, quando gli americani hanno intercettato le comunicazioni che dimostravano il coinvolgimento di agenti pachistani nelle bombe contro l’ ambasciata indiana a Kabul». Nell’ attentato di ieri i morti indiani sono almeno sei su sedici. L’ obiettivo erano loro, ne è convinto il presidente Hamid Karzai. «Questi attacchi non danneggeranno i legami molto solidi che abbiamo con il Paese nostro vicino». Tra le due nazioni si è sempre messo in mezzo, non solo sulla mappa, il Pakistan. Che teme il doppio gioco di Washington e New Delhi e di rimanere escluso dai futuri assetti della regione. «L’ America è storia, Karzai è storia, i talebani sono il futuro», ha commentato alla Bbc il generale Hamid Gul, direttore dell’ Isi fino al 1989 e difensore di una visione strategica solo in parte superata. «In quest’ area del mondo abbiamo un potere d’ influenza e dei legittimi interessi di sicurezza da tutelare». Così a New Delhi i ministri degli Esteri indiano e pachistano si incontrano per la prima volta in quindici mesi (dal massacro di Mumbai che l’ India ha sempre imputato a terroristi «gestiti» dall’ Isi) e il giorno dopo a Kabul scoppiano le bombe. Anche l’ arresto del mullah Abdul Ghani Baradar, numero due nella gerarchia fondamentalista, è sembrato a qualche analista un regalo che i pachistani si sono impacchettati da soli. Il vice del mullah Omar sarebbe stato coinvolto nei negoziati segreti con il governo Karzai e forse era diventato troppo «indipendente» da Islamabad. «Con la cattura, l’ Isi ha raggiunto due obiettivi: ha mostrato agli occidentali di essere pronto a collaborare contro i talebani e ha estromesso un personaggio che non controllava più», commenta Tony Shaffer, che ha lavorato per i servizi americani in Afghanistan nel 2003. Gli 007 di Islamabad avrebbero deciso di fidarsi un po’ di più, quando la Cia ha eliminato con un missile Baitullah Mehsud, responsabile di una serie di attacchi contro le città pachistane. «Qualcuno all’ interno dell’ Isi si era chiesto - spiega il New York Times - perché gli americani aspettassero così tanto a ucciderlo e sospettava che lavorasse per loro o gli indiani». Il razzo sparato dal drone ha cementato la coalizione. Anche Washington riconosce i cambiamenti introdotti dal generale Asqhaf Parvez Kayani, il nuovo capo di Stato maggiore pachistano. Da ex direttore dell’ Isi, ha messo un alleato, Ahmad Shuja Pasha, alla guida dei servizi segreti e lo ha incaricato di ripulire l’ organizzazione dagli ufficiali più vicini ai fondamentalisti. Golfista inesauribile, gli americani descrivono Kayani come affascinante e allo stesso tempo imperscrutabile. Gli perdonano qualche vezzo: durante gli incontri, può passare minuti estenuanti (per gli altri che aspettano) a rollarsi paziente una sigaretta e poi buttarla via dopo il primo tiro. «Siamo pronti a qualunque forma di cooperazione con le forze Nato e gli afghani», ha ripetuto poche settimane fa. A parole, una vera rottura dalla dottrina del suo predecessore negli anni Ottanta. Akhtar Abdur Rahman aveva bandito qualunque contatto fuori servizio tra gli agenti dell’ Isi e quelli della Cia e si era convinto che gli americani intercettassero tutte le sue comunicazioni. Sospetti ricambiati, come sempre. Quando gli ufficiali dell’ Isi sono stati invitati a visitare i centri di addestramento negli Stati Uniti - racconta Steve Coll in La guerra segreta della Cia - ci sono stati portati bendati. La sfiducia tra alleati non è mai troppa. Davide Frattini