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 2010  febbraio 27 Sabato calendario

SJOWALL

Stoccolma anni Sessanta. Un uomo e una donna si innamorano. Un corteggiamento fatto di scrittura e spazi da riempire. Per Walhöö ha 35 anni, Maj Sjöwall, 27. Sono due giornalisti, tutti lavoro e marxismo. Lui la sera, sorridendo mentre torna in famiglia, inizia a darle le bozze di un suo nuovo libro: ci sono dei vuoti, quelli sul personaggio femminile, lei li dovrà riempire. Un gioco magico. Per e Maj vanno a vivere insieme e quel che ne nasce è non solo una nuova coppia, ma un progetto letterario, anzi noir. Dieci libri per dieci anni, 30 capitoli ciascuno, per un totale di 300. Soggetto, una "Crime Story", una serie poliziesca. Al centro una squadra, con alla testa il commissario Martin Beck, fatta di uomini di mezz´età, umorali, di poche parole, con degli acciacchi, delle pancette, dei tic, solitari, a volte amici a volte no, alcuni solari, altri ombrosi, e sullo sfondo una città piena di contraddizioni minuziosamente descritta. Degli antieroi come si deve, un po´ alla Simenon ma più essenziali, e con una differenza fondamentale: dietro di loro la critica alla società vuol essere centrale. Gialli che sono a tutti gli effetti i progenitori del fenomeno svedese, di Mankell senz´altro, ma anche di Larsson, e della schiera scandinava ora al top nelle classifiche mondiali. Walhöö è morto nel 1975, appena consegnato l´ultimo libro. Maj Sjöwall, che ha oggi 75 anni, continua a scrivere e a tradurre, mentre in Italia esce il settimo volume della loro Crime Story, L´uomo sul tetto, un´indagine sull´omicidio di un alto papavero della polizia crudele e violento, così violento da scatenare una terribile vendetta, una macchia di sangue che dilaga su tutto il corpo della polizia e semina oltre alla morte degli straordinari sensi di colpa.
Mrs Sjöwall, tra lei e Per Walhöö, nacque prima l´amore o la scrittura a quattro mani?
«Lo incontrai nel ´62, e lui era già sposato. Io vivevo da sola con mia figlia Lena di 6 anni. Di notte traducevo, di giorno lavoravo al giornale. Quando nel ´63 lui venne a vivere da me, cominciammo a parlare del nostro progetto. A novembre ecco il primo bambino, Tetz. Ci fu un´assoluta continuità tra figli, amore, scrittura... facevamo tutto insieme e, naturalmente, manifestavamo contro la guerra in Vietnam».
Perché sceglieste il genere poliziesco?
«Perché ci permetteva di combinare insieme l´intrattenimento e la nostra visione della società. E avrebbe venduto meglio dei tre precedenti romanzi a sfondo politico di Per».
Che modelli avevate, Simenon, Chandler, McBain?
«Non avevamo modelli, ci piacevano Chandler, Hammet, Simenon. All´inizio non conoscevamo McBain, poi l´abbiamo tradotto in svedese».
 da loro che avete preso l´idea del poliziotto antieroe?
«Non volevamo inventare niente. Solo descrivere una squadra di poliziotti al lavoro nella nostra Stoccolma, creare delle storie vere, adatte ai tempi. Mentre in Svezia i gialli erano tutti tipo Agatha Christie, piuttosto borghesi e senza poliziotti».
E voi conoscevate agenti, commissari?
«Solo uno. Ricavammo i nostri personaggi dalle persone che avevamo intorno».
Come lavoravate?
«Parlavamo moltissimo finché non avevamo un plot. A quel punto facevamo una sinopsi scheletrica dei 30 capitoli. Poi scrivevamo. A mano e di notte. Se lui iniziava col capitolo uno, io scrivevo il secondo. Il giorno dopo ce li scambiavamo».
La denuncia della società svedese era fondamentale. Cosa aveva di così insopportabile?
«Volevamo descrivere come la socialdemocrazia svedese avesse tradito i lavoratori e stesse diventando sempre più capitalista. Volevamo il socialismo».
Il socialismo reale ha lasciato dovunque gulag e miseria. Cosa pensa delle sue convinzioni di allora?
«Le nostre idee erano molto naïf. Credevamo nel socialismo. Eravamo marxisti. I giovani allora non sapevano come funzionava davvero il comunismo. facile dirlo adesso».
Torniamo ai gialli. Perché tutti scrivono crime?
«La gente vuol sempre più intrattenimento. E in Svezia non è facile vivere scrivendo libri. Con i noir invece puoi diventare multimilionario, come Mankell, Larsson o Nesser».
E come si spiega il successo degli svedesi?
«Non lo capisco. Sono libri spesso mal scritti e poco eccitanti».
Immaginava il suo stesso successo?
«Mai. La letteratura svedese non interessava a nessuno. E i contratti erano molto più poveri. Così non sono diventata ricca, ma sono contenta che i diritti mi abbiano permesso una vita da persona libera».