Giordano Bruno Guerri, il Giornale 27/2/2010, pagina 1, 27 febbraio 2010
BASTA SANTIFICARE SISSI: L’EROE E’ CECCO BEPPE
«Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna». È un luogo troppo comune per essere vero. Non è vero, per esempio, nel caso di Sissi e Cecco Beppe, ovvero Francesco Giuseppe d’Asburgo, imperatore dell’Austria-Ungheria, ed Elisabetta Eugenia Amalia di Wittelsbach, divenuta sua moglie e quindi imperatrice.
Francesco Giuseppe non fu il più grande regnante della storia, anche se portò la corona - a tutti gli effetti - più a lungo di chiunque, dal 1848 al 1916, ovvero per quasi settanta anni: riuscendo a tenere in piedi e in piena efficienza un impero vastissimo e complesso, composto com’era da numerose nazionalità. Era nato nel 1830, in teoria non aveva diritto al trono, ma l’ambizione della madre Sofia, oltre che le pessime condizioni di salute (fisica e mentale) degli altri Asburgo, riuscirono a fargli avere il trono alla fine di un anno talmente tempestoso da diventare proverbiale, «un Quarantotto». Eppure, a incantare la fantasia (popolare e cinematografica) è la sua fragile moglie Sissi, sulla quale sono stati girati quasi trenta film: lei protagonista, il marito come un principe-consorte, una figura di secondo piano.
Certo, l’avvio fu romanzesco e romantico, ma anche in quello il protagonista fu colui che gli italiani chiamavano Cecco Beppe. Nel 1853, a 23 anni, andò a conoscere la promessa sposa, che era la sorella maggiore di Sissi, Elena. Vista la sorellina, non ebbe dubbi fra le due. Elena, educata dalla nascita a diventare regina, era rigida e formale come un addetto al cerimoniale di corte; Sissi, che aveva 16 anni, allegra e spensierata, bellissima, gli sembrò «fresca come una mandorla appena sbucciata».
Detto fatto, Sissi accettò di sposarlo, dicendo: «Amo molto l’Imperatore, ma se solo non fosse l’imperatore». In questa frase, all’apparenza umile, c’era già la rovina del matrimonio. Lui, infatti, imperatore lo era, e come. Si svegliava alle 5 e andava a dormire (su una brandina militare) alle 21, dopo avere sgobbato tutto il giorno. Da piccolo gli avevano insegnato che, per imparare a comandare, bisognava prima imparare a obbedire, e si definiva «il primo impiegato al servizio del regno».
Lei era stata educata a una vita senza pensieri e formalità troppo rigide. Il rigore della corte asburgica gli apparve subito un macigno, a partire dal regalo che ricevette dalla suocera nel suo primo compleanno da imperatrice: un rosario. Cominciò presto a detestare la dinastia asburgica e a soffrire per la propria eccessiva ricchezza, rispetto alla povertà della gente comune. Più che dell’anima e dell’impero, però, Sissi si preoccupava della propria bellezza, e senza badare a spese. Era bella, certo che era bella, ma di una bellezza che oggi ci apparirebbe subito sospetta: alta un metro e 72, pesava 50 chili. Anoressica. Un’anoressica che mascherava la propria malattia con la scusa del vivere e del mangiare sano: tanto sport e poco cibo. Per vestirsi le occorrevano tre ore, dato che gli abiti le venivano cuciti addosso in modo da far risaltare la magrezza, in particolare il leggendario vitino da vespa. I capelli, se sciolti, le arrivavano alle caviglie, e richiedevano altre tre ore per l’acconciatura. Per fortuna, secondo gli usi dell’epoca, venivano lavati di rado, ogni tre settimane, con un’operazione che richiedeva tutto il giorno e durante la quale l’imperatrice non poteva venire disturbata per nessun motivo. Faceva bagni caldi nell’olio d’oliva; per conservare la snellezza dei fianchi, di notte li fasciava con panni bagnati e dormiva dopo essersi applicata maschere di bellezza fatte di fragole o di carne di vitello cruda.
Ciononostante, i due sposi riuscirono ad avere quattro figli, tre femmine e un unico maschio, l’Erede, Rodolfo. Un erede infelice, preda di donne, alcol e morfina, che si suicidò con l’amante nel 1889, a 31 anni. Un colpo durissimo per i genitori, che peraltro conducevano una vita fatta già più di lontananza che di vicinanza. Lei si dedicava a lunghi viaggi, che duravano anche sei mesi, in luoghi caldi lontani da Vienna, come Madera o Corfù.
Lui, peraltro fedelissimo, data la rigida educazione religiosa, aveva disgrazie e rogne e non finire. I possedimenti italiani del Lombardo-Veneto erano in continua agitazione, appoggiati da quei fastidiosi e ambiziosi Savoia piemontesi e da Napoleone III. Alla fine, li perse. Altri guai venivano dall’insofferenza ungherese, dove si voleva sempre maggiore autonomia. Persino i fedeli alleati prussiani costituivano una minaccia permanente, con il loro militarismo espansionista. Francesco Giuseppe passò dal centralismo assolutista al federalismo, di nuovo al centralismo e di nuovo al federalismo, a seconda delle necessità, e concesse addirittura il suffragio universale. La sua figura patriarcale e intangibile sul piano morale, gli otteneva comunque il rispetto dei suoi sudditi.
Così riuscì a tenere in piedi l’impero fino all’ultimo, senza cedere mai allo sconforto. Nonostante la morte del fratello Massimiliano, nel 1867, fucilato dai rivoltosi dopo essere diventato imperatore del Messico. Nonostante l’assassinio di Sissi, nel 1898, accoltellata da un anarchico sul lungolago di Ginevra e morta per un’emorragia interna: gli abiti erano talmente stretti che il sangue non poteva fuoriuscire. Nonostante la morte del nuovo erede, il nipote Francesco Ferdinando, in quell’attentato di Sarajevo che portò alla Prima guerra mondiale.
Francesco Giuseppe poté ben dire che «Nulla mi è stato risparmiato su questa terra», ma quello che - forse - sarebbe stato il dolore più grande gli venne risparmiato. Morì nel 1916, a 86 anni, quando la guerra sembrava vittoriosa, e non assistette al disfacimento del suo impero. Il 20 novembre, il medico lo costrinse ad andare a letto alle sette di sera, e l’imperatore dette ordine di svegliarlo alle tre e mezzo, perché doveva «finire un lavoro». Morì nel sonno, almeno lui.
Giordano Bruno Guerri