G.Buc., La Stampa 27/2/2010, pagina 43, 27 febbraio 2010
TORO, IL PREZZO NON E’ GIUSTO
Il punto di partenza è chiaro, quello di arrivo molto meno. Ora che Urbano Cairo, patron granata, ha svelato i suoi umori, resta da capire se il passaggio di consegne potrà verificarsi e, se sì, in quali tempi e, soprattutto, a quali condizioni. Il Toro in vendita è la fotografia di una società penalizzata da più fattori, sportivi e non. A cominciare dal campo, la serie B è un peso non indifferente. «Visto il nostro particolare sistema, una delle maggiori fonti di ricavo delle società di calcio italiane - spiega Alberto Frau, docente di Economia aziendale alla Luiss e al Foro Italico - dovrebbe essere quella proveniente dai diritti tv e da tutte le attività legate al proprio marchio. Se non giochi in Europa sei penalizzato, se non lo fai nemmeno in serie A, è un disastro...». Un disastro soprattutto alla vigilia della grande rivoluzione, ovvero la spartizione collettiva del quasi miliardo di euro già incassato dalla Lega Calcio dalle tv per il prossimo biennio tra le venti squadre che faranno parte del massimo campionato. Tradotto: senza promozione, addio ai 40, 45 milioni che sarebbero potuti entrare nelle casse granata.
Il rumore dell’uscita di Cairo è forte ma, al momento, senza conseguenze. Voci e indiscrezioni si intrecciano, però alla porta dell’editore milanese non ha bussato nessuno. Non ancora almeno. E la situazione di impasse non è detto che cambi adesso, nonostante il Toro sia ufficialmente sul mercato. «L’aspetto patrimoniale è determinante per poter fare una valutazione del reale valore di un club di calcio. Se è vero - continua il professor Frau - che Cairo non è in possesso della sede sociale, del centro di allenamento, di quello del settore giovanile senza contare l’assenza di uno stadio di proprietà, sul mercato il club granata si presenta non proprio in maniera appetibile...». Patrimonio ridotto al minimo, dunque. Ovvero solo nel cartellino dei giocatori di proprietà del Toro. «Si tratta - spiega Frau - di una variabile sicuramente importante, ma, allo stesso tempo, opinabile in quanto il valore in esame non è di un immobile, ma appartiene ad una categoria del tutto particolare come quella appunto delle prestazioni di un calciatore».
Il Toro e il mercato. Cairo ha parlato chiaro e, leggendo fra le righe, sembra aver fissato anche in 30 milioni (i soldi da lui investiti nel club) la cifra intorno alla quale poter aprire una potenziale trattativa. «Non so e non posso dire se il Torino vale tanto. Quello che è certo è che stiamo parlando di una società con patrimonio quasi nullo...», così il professor Frau. E, gli aspiranti acquirenti? L’ultimo a defilarsi da ogni tipo di coinvolgimento diretto è stato l’imprenditore piemontese Beretta, tifoso granata da sempre. Così, sullo sfondo, restano solo rumors su una potenziale cordata locale con interesse anche al rifacimento del Filadelfia. Niente più, non adesso che l’incertezza su quale campionato il Toro disputerà la prossima stagione ha preso in ostaggio tutti, presunti interessati o meno. Il salto fra la serie B e la A è un solco profondo e pieno di insidie economiche. Restare nel limbo significa sparire dalla scena, oscurare il marchio (indicativo sul tema l’attuale calo della pubblicità da stadio) e perdere il titolo alla spartizione del miliardo di euro per gli anni 2010/2011 e 2011/2012, introiti acquisiti dalla vendita dei diritti televisivi per il massimo campionato. A Colantuono il compito di invertire la rotta senza perdere ulteriore tempo. Alla squadra quello di riportare il Toro sotto i riflettori perché, oggi, il rumore delle parole di Cairo ha l’effetto di sgonfiarsi non appena incontra il mercato.