27 febbraio 2010
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 1 MARZO 2010
Oggi, ”Primo marzo 2010”, tanti italiani e immigrati si sono svegliati antirazzisti. Karim Metref: «Chi andrà al lavoro con una coccarda gialla o con una fascia gialla intorno al braccio. Chi farà qualche azione dimostrativa in città. Chi andrà in giro distribuendo volantini e cercando di parlare con la gente. Chi andrà a un presidio, chi a un concerto, chi a una conferenza e chi a una performance artistica». [1] Luigi Santambrogio: «L’idea è esplosa, dilagando su blog e social network. Con una domanda a preambolo della manifestazione: che cosa accade se 4 milioni di immigrati incrociano le braccia?». [2] Cinzia Gubbini: «L’ambizione dello sciopero classico, dell’astensione dal lavoro per l’intera giornata lavorativa, è caduta praticamente subito. Ma la ”provocazione” internettiana ha avuto come innegabile merito di far entrare questo argomento in agenda». [3]
Manifestazioni sono previste in tutt’Italia. A Milano stamattina un corteo girerà attorno a palazzo Marino, alle 17 raduno in piazza Duomo, poi corteo verso piazza Castello. A Roma in piazza Vittorio Emanuele, la manifestazione prevede concerti, con l’esibizione dell’Orchestra multietnica di Piazza Vittorio. I comitati di Catania e Siracusa hanno organizzato un pellegrinaggio in pulmino nei luoghi del caporalato nella campagna attorno a Cassibile. A Palermo, mobilitazione nel mercato di Ballarò. A Varese verrà offerto un pranzo ai detenuti del carcere. A Trieste partirà da piazza Sant’Antonio una squadra che andrà a cancellare le scritte razziste dai muri delle città. [4]
La protesta trae ispirazione dalla Francia, dove è stata indetta per oggi (anniversario dell’entrata in vigore, nel 2005, del ”codice per l’ingresso e il diritto di asilo”, detto codice degli stranieri) una Journée sans immigrés per mettere in evidenza «principalmente attraverso uno sciopero degli acquisti e dei consumi, la rilevanza dell’immigrazione per l’economia e gli equilibri sociali». L’idea i francesi l’hanno presa dagli Stati Uniti. Nadir Dendouane uno dei portavoce del comitato organizzatore delle ”24 heures sans nous”: «Nel maggio 2006 un gruppo di ispanici organizzò una protesta analoga. Volevano contestare un progetto di legge che intendeva criminalizzare l’immigrazione clandestina. Hanno detto: ok, ci considerate dei criminali, però senza di noi questo paese non funziona». [5]
Saputo dell’iniziativa francese, in Italia tanti si sono chiesti se fosse fattibile una cosa del genere. Metref: «Qualcuno, timidamente, ha risposto ”perché no”. Poi, all’improvviso appare una pagina su Facebook: ”Primo marzo 2010 sciopero degli stranieri”. La pagina è lanciata da quattro donne. Non sono conosciute: né politiche, né sindacaliste. Ma proprio per quello il successo è immediato. La pagina supera molto velocemente la decina di migliaia di membri. Dal virtuale cominciano a formarsi comitati locali ”veri”. Oggi ci sono comitati in quasi tutta Italia. Partiti politici, sindacati (anche se pochi hanno dato copertura sindacale allo sciopero), associazioni, organizzazioni, ong, reti, collettivi e personalità raggiungono l’appello in massa». [1]
A dicembre era stata Emma Bonino a lanciare l’idea di realizzare anche in Italia uno «sciopero degli immigrati» sul modello francese («il tentativo di legalizzare badanti e colf procede lentamente»). [6] Il comitato italiano era nato il 29 novembre per iniziativa della giornalista Stefania Ragusa (con le amiche Nelly Diop, Daimarely Quintero, Cristina Sebastiani), caposervizio a Glamour, autrice tra l’altro dei libri Bangladesh, inferno di delizie (Vallecchi) e Africa qui - Storie che non ci raccontano (Edizioni dell’Arco, diffusione su strada), ritratti di africani che si sono affermati in Italia. Su Facebook ”Primo marzo 2010” ha raccolto oltre 40mila adesioni. [7] Lo scatto arrivò a gennaio con la rivolta di Rosarno. [8]
«Rosarno ha segnato un punto di non ritorno», perché ha fatto definitivamente crollare l’idea del razzismo come caratteristica esclusiva del nord e «ha dimostrato che la politica, di destra e di sinistra, non è all’altezza della situazione» ha spiegato il parlamentare del Pd Roberto della Seta, primo onorevole ad aderire insieme a Francesco Ferrante. [8] Rilanciata in quei giorni la notizia dello ”sciopero degli immigrati”, fra i critici più aspri si distinse il ministro (leghista) per la Semplificazione legislativa Roberto Calderoli: «Escluderei che vogliano farlo i regolari: se l’iniziativa partisse invece dagli irregolari, si tratterebbe soltanto di espellerli». [9]
L’iniziativa di oggi ha diviso le comunità etniche della Penisola, le quali, a partire dalla più consistente, quella romena, temono strumentalizzazioni e ripercussioni negative, per cui hanno deciso di non partecipare ufficialmente. [10] Durante la presentazione del manifesto ufficiale (martedì a Roma nella sede di Legambiente) c’è stata qualche polemica perché al tavolo sedevano solo ”bianchi” fatta eccezione per l’intervento di Edgard Galliano (Comitato immigrati): «Solo quando gli immigrati prenderanno la parola si potrà iniziare a superare il razzismo». Ragusa: «Il comitato fondatore è meticcio. Tirare fuori ”il nero” a ogni occasione? un’operazione di marketing che non ci interessa». Per evitare connotazioni politiche, è stato scelto come colore simbolo della giornata il giallo. [8]
Quelli di ”Primo marzo 2010” vogliono mostrare che i migranti sono fondamentali per la tenuta di una società complessa e articolata come la nostra. Ragusa: «Tamponano le patologiche carenze del welfare (una famiglia su dieci si affida a una badante straniera nella cura di un parente anziano o malato), sono determinanti per il bilancio delle Stato e per il sistema previdenziale (tra tasse e contributi versano qualcosa come 6mila miliardi di euro) e per la crescita economica (dal loro lavoro dipende il 9,5% del nostro prodotto interno lordo)». [7] Nel libro Blacks out Vladimiro Polchi immagina cosa succederebbe se gli extracomunitari smettessero di lavorare. ”la Repubblica”: « la paralisi, spiega. I cantieri edili si fermano di colpo. Chiudono le fabbriche. Si raffreddano i forni a ciclo continuo nelle aziende di ceramica. Vuoti i mercati ortofrutticoli. Chiusi ristoranti, alberghi e pizzerie». [11]
Senza immigrati, scrive Polchi, nelle famiglie si scatenerebbe il panico per la scomparsa di badanti, colf e babysitter. Ci sarebbe un boom di ricoveri di anziani e disabili negli ospedali. La sanità andrebbe in tilt, si fermerebbero anche i campionati di calcio, basket e pallavolo. Molte parrocchie resterebbero senza preti. E tremerebbero pure le casse dell’Inps. [11] Secondo un Rapporto di Bankitalia gli stranieri hanno un tasso di occupazione superiore a quello degli italiani, con una maggiore concentrazione, dato il più basso livello di scolarità, nelle mansioni a minore contenuto professionale: il 79,3% degli stranieri occupati regolari al Centro Nord fa l’operaio contro il 35,1% degli italiani. [12] Le mansioni più diffuse tra gli immigrati (fonte il ministero degli Interni) sono operaio, badante, colf a ore, cameriere. [13] In particolare, è straniero il 79% delle badanti. [14]
Il 10% dei 250.000 esercizi pubblici italiani è gestito da extracomunitari. Si tratta di un dato destinato a crescere: nel 2009 il 40% dei bar e ristoranti aperti nelle grandi città (dati su Milano, Roma, Torino, Firenze e Padova) è nato per l’iniziativa di un immigrato. A Milano i locali gestiti da stranieri sono aumentati dal 2000 del 179%. Andrea Colombo e Tobia De Stefano: «Il 23% dei locali è gestito da cittadini extracomunitari, con quasi 700 esercizi, rispetto ai 517 registrati nel 2007. Due su tre sono cinesi, mentre è arabo uno su cinque. Senza contare i bar: è gestito dai cinesi uno su 12». [15] Pensare agli immigrati solo come ad un popolo di colf o piccoli commercianti disposti a tenere aperto dall’alba alla sera il negozietto di frutta e verdura sarebbe però fuorviante. Luisa Grion: «Il 7,2 per cento delle imprese individuali presenti sul territorio è messo in piedi e gestito da un ”capo” nato in un paese fuori dai confini comunitari. Ce lo dice un’indagine dell’Unioncamere (l’associazione delle Camere di commercio) fornendo un dettagliato ritratto degli ”stranieri” che intraprendono. Sono tanti, sparsi su tutto il territorio, ma con una spiccata preferenza per il Centro e il Nord: soprattutto Toscana (provincia di Prato in testa) e Lombardia». [16]
Il peso degli immigrati sta crescendo anche all’interno dei sindacati: sono già più del 6% degli iscritti a Cgil-Cisl-Uil, percentuale che raddoppia se si tiene contro dei soli lavoratori attivi. [17] L’80% degli immigrati vorrebbe però un sindacato autonomo. [2] L’immigrazione è uno dei tre punti su cui la Cgil ha convocato lo sciopero generale del 12 marzo. [3] I sindacati a livello centrale non hanno invece aderito alle manifestazioni di oggi. Ha spiegato Liliana Ocmin, segretaria confederale Cisl con delega per l’immigrazione, le donne e i giovani (nata in Perù, è in Italia dal ”92). «Troppi rischi di strumentalizzazione politica, un comitato promotore nato dai social network anziché all’interno del movimento sindacale, ma soprattutto obiettivi poco chiari. Contro chi si sciopera o si scende in piazza a protestare: contro gli italiani?». [18]
Detto che in molti casi le manifestazioni sono comunque appoggiate attraverso federazioni locali e organizzazioni nazionali di categoria come i metalmeccanici, la latitanza dei sindacati ha spinto qualcuno a bollare l’iniziativa di oggi come «sciopero etnico»: Ragusa: «Mai detto, pensiamo a uno sciopero generale sui diritti». Gubbini: «Le mobilitazioni sono tante e diverse: a Padova legate alla rivendicazione della casa, a Trento della salute, in alcune città ci saranno anche forme di astensione dal lavoro. Ma il bello verrà dopo: i comitati locali hanno in mente di presentare una vera e propria piattaforma politica, con l’intenzione di riaprire i giochi anche sulla legislazione. E dare, veramente, una svolta non solo simbolica». [7]