Luigi Garlando, La Gazzetta dello Sport 27/2/2010, 27 febbraio 2010
FOOTBALL. QUELLE SCARPETTE COSI MAGICHE PE RCHI LE PORTA
Nel momento in cui sir Alex Ferguson ha sentenziato: «Basta scarpe colorate ai ragazzini del Manchester United. Ne avranno diritto quando arriveranno in prima squadra». Se il diktat del tecnico più vincente in circolazione si estenderà per contagio, i papà potranno smettere di rincorrere l’ultimo modello calzato da Ibra o da Kakà, abbagliante e superfirmato. Forse, per le partite dei figli, basterà una comune scarpa con i tacchetti, umile come un saio, duratura e molto più sostenibile dal portafoglio. «Prima educate i piedi, poi pensate alla scarpe», ordina il saggio sir Alex.
Sacro nero Per noi ex bambini al tempo delle figurine la scarpa «doveva» essere nera. Certificava il nostro status di calciatore. Potevano essere colorate quelle da tennis, ma quelle da pallone no. Non scherziamo. Il nero aveva una sua sacralità. Con le scarpe nere facevamo la Prima Comunione e giocavamo a calcio; di vernice, lucide, le prime; unte di grasso di foca, le seconde. Il pallone era bianco a scacchi neri, quello degli inglesi, affascinante, tutto bianco. Nera la scarpa, bianco il pallone, come lo sposo e la sposa in cima alla torta nuziale. Le scarpe all’epoca identificavano più la squadra che il campione. L’Inter usava le Atala, la Juve le Valsport, il Torino scudettato le Superga, il Milan le Tepa che spaventavano i piccoli bomber, perché le calzava lo Sciagurato Egidio. Marchio diverso, ma tomaia rigorosamente nera, per non parlare della immaginifica Pantofola d’Oro, col suo nome fiabesco, la sua leggendaria artigianalità: fabbricata da folletti marchigiani, forse. Tutta nera! Poi la scarpa ha cominciato a legarsi al campione ed è esplosa la macedonia di colori e di numeri. Fabio Capello s’infuriò con Marco Simone, perché presentò inedite scarpe bianche in una finale di Champions, persa. Ronaldo trasformò un paio di finali del Mondiale in altrettanti vetrine planetarie per l’ultimo modello di turno. Scarpe dorate, d’argento, tinte sempre più forti, catarifrangenti. Pato con i piedi gialli sembra un Papero per davvero, disneyano. Rooney sembra che abbia immerso i piedi nella una tavolozza di un pittore.
Gioco I bambini pretendono quelle abbaglianti armi da bomber come fossero le lame rotanti di Goldrake, convinti che nascondano il segreto del gol. Daqui è scattato il furore savonaroliano di Ferguson: «Ragazzi, prima di imitare le scarpe di Rooney, imitate il suo sudore, i sacrifici». Tutto giusto, sir Alex, educativamente condivisibile. Con una riserva: il calcio è un gioco e nel gioco rientra anche la gioia di assomigliare al campione preferito. Ci sono bambini di sei anni che festeggiano un gol all’oratorio col pollice in bocca omimando il bacio dell’anello, anche se non hanno figli o mogli a bordo campo. Scimmiottano? No, giocano, come a carnevale. Le scarpe colorate sono coriandoli. Noi, ex bambini al tempo delle figurine vedevamo Zorro in bianco e nero. Possiamo imporre la poesia di una scarpa da calcio tutta nera a un bambino cresciuto davanti ai colori di Disney Channel?