Elisabetta Russo, La Gazzetta dello Sport 26/2/2010, 26 febbraio 2010
«IO ALLENATORE? UNA BELLA SFIDA PERCHE NO»
MILANOdParla Roberto Baggio, e quanto stavolta. In genere non ama farlo: « una scelta intima, mia, ho sempre evitato i riflettori. Sono un tipo schivo. E poi penso che si debba parlare poco e bene». Ma è il giorno giusto per aprirsi, con la stessa semplicità di quando faceva innamorare chi lo guardava giocare. E così ecco la cronaca di una giornata tra giornalisti, addetti ai lavori, ex tecnici, chat con i lettori. Baggio, qual è stato il suo segreto? «L’umiltà. Il talento da solo non basta, ci vogliono lavoro, umiltà e passione». Qualcosa però in più degli altri aveva... «In area di rigore mi sentivo avvantaggiato sui difensori, cercavo di sorprenderli. Ecco, io pensavo sempre in anticipo la giocata da fare». Quando nel 2004 ha deciso di smettere, non ha avuto qualche dubbio? «Volevo farlo già molto prima: troppi infortuni. Mi faceva imbestialire non potermi allenare come imiei compagni. Avevo un dolore pazzesco e iniziavo l’allenamento col ginocchio a pezzi. Vittorio (Petrone, il manager, ndr) mi ha fatto cambiare idea: se ho giocato fino a 37 anni è merito suo. Ho dato tutto fino all’ultimo secondo e non ho rimpianti». Come si fa a riemergere dopo tanti infortuni? «Sono momenti difficilissimi, e accadono quando meno te lo aspetti. Io sono riuscito a trasformarli in qualcosa di positivo. Mi ha aiutato anche la fede. A 20 anni ho incontrato il buddhismo, ho conosciuto me stesso più nel profondo e ho capito che possiamo fare sempre qualcosa per cambiare la nostra vita». Quel 16 maggio tutto San Siro era in piedi per lei: cosa ha provato? «Ho pianto, perché ho capito che era la fine di una parte della mia vita e l’inizio di un’altra». Si è parlato spesso di incomprensioni con allenatori ecompagni: ha un carattere così difficile? «Ma no, in una lunga carriera succede e finisce lì. stato così con Sacchi e Ulivieri. Emi sono sempre messo a disposizione dei miei compagni con umiltà, non mi sono mai sentito superiore. L’importante è non porta-
re rancore, poi tutto si supera». Il ricordo più bello che porta con sé? «La semifinale del Mondiale ”94 con la Bulgaria, a New York davanti a tutti quegli italiani». La partita che vorrebbe rigiocare? «La finale di Usa ”94. Un mondiale, fra qualificazioni e gare dura 4 anni: giocarselo in 5 minuti è un delitto. E quel rigore: ci penso ogni giorno, non mi do una spiegazione. Non ho mai tirato un rigore alto, ne avevo sbagliati, ma mai calcian
do così». Cosa le manca di più del calcio? «Il rettangolo di gioco, il posto dove mi sentivo più amio agio, il pallone, il terreno, la porta. Ma non poteva
durare per sempre». I giocatori più forti con cui ha giocato? «Maradona, Van Basten, Baresi e Maldini: i miei Palloni d’oro». Ora passa molto tempo in Argentina. Perché? «Sette-otto anni fa in tv guardavo una partita di calcio argentino. C’era una squadra che perdeva 4-0. Hanno inquadrato la curva, con i tifosi che cantavano e ballavano da matti. Io ho detto: "Facile, vincono 4-0". E mi hanno detto: "No, quelli sono quelli che perdono". Erano i tifosi del Boca Juniors. Da alloramene sono innamorato. Per loro esiste solo il Boca, tutta la settimana, vivono solo per quello. E poi l’Argentina mi rapisce, mi dà un senso di libertà incredibile».
Il suo «caso» al Mondiale 2002 somiglia tanto a quello di Cassano. Lei lo porterebbe in Sudafrica? «Se è vero che le porte sono aperte per tutti, allora Cassano dovrebbe andare in Sudafrica. Ha il talento per cambiare la partita in qualunque momento. Poi, gli allenatori hanno le loro esigenze. Se fosse permefarei giocare solo chi sa giocare a calcio, quindi...». Cosa pensa del razzismo nei confronti di Balotelli? « assurdo, anche perché ormai viviamo in un mondo in cui tante culture vivono a contatto l’una con l’altra. E poi Mario è un talento, ha grandissime qualità, ma deve capire che nulla va dato per scontato». Che idea si è fatto dei giovani di oggi?
«Ci sono tante, troppe trappole. fondamentale restare umili. Lo sport ti dà tutto velocemente, ma te lo toglie anche e in un attimo. Non bisogna mai sentirsi arrivati, ogni giorno è una sfida». In quale squadra, con quale giocatore e conquale allenatore le piacerebbe giocare oggi? «Nel Barcellona e vorrei Guardiola sia come compagno sia come allenatore. Pep mi colpiva perché da giocatore, durante gli allenamenti, a livello tattico trovava sempre la soluzione migliore».
Messi le piace? « il più forte, èmolto giovane e ha la fortuna di lavorare in un ambiente ottimo e con degli esempi grandissimi». Ci svela la sua squadra del cuore? «Da ragazzino era il Vicenza, e poi ci ho giocato. E poi tenevo all’Inter, che ha un posto speciale». Ha visto i nerazzurri contro il Chelsea dal vivo? «Sì, e mi sono piaciuti. Non era facile, il Chelsea è una squadra ormai abituata a stare ad alti livelli in Europa, forse è la più tosta. L’Inter ha giocato bene e ha retto. Ora ci vuole il passaggio del turno per dare fiducia e consapevolezza alla squadra».
Cosa pensa di Mourinho? «Non lo conosco, lo rispetto ma non giudico mai una persona senza conoscerla». Cosa potrebbe dare oggi Roberto Baggio almondo del calcio? «Non so, sono fuori da 5 anni, ma mi interessa sempre tanto. Mi piacerebbe lavorare con i giovani, per far capire loro che questo è uno sport, ma anche una professione in cui bisogna mettere tutto. L’allenatore? Sarebbe una sfida, e amele sfide piacciono. Dal divano di casa, però, sembra tutto semplice. Il c.t. dell’Italia? Non so, non lo escludo. Di certo vorrei fare qualcosa di diverso, una cosa non banale». C’è stato un momento nella sua carriera in cui guardandosi allo specchio si è detto: ecco, sono un campione? «Mai, non l’ho mai pensato, non mi sono mai detto sei più bravo degli altri. Ho sempre creduto di dover dimostrare qualcosa: forse è stata la mia fortuna». Scambierebbe il Pallone d’oro per vincere il mondiale? «Si, certo: poi magari lo vinco di nuovo».