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 2010  febbraio 26 Venerdì calendario

MODA ITALIANA A CORTO DI FONDI

Una boccata di ossigeno da 2 miliardi e passa di euro. Ecco di cosa ha urgente bisogno il sistema moda per riguadagnare lo smalto perduto e, soprattutto, andare alla conquista dei nuovi consumatori. La denuncia, di quelle che fanno bene perché pungolano ma servono a quantificare i problemi, è il punto forte dell’analisi del comparto firmata da The European House- Ambrosetti, supporter del Progetto M2 Meridiano Moda promosso da Itf e Unioncamere. Dall’ampio identikit del settore, in dati assoluti e considerato l’intero sistema aggregato ( non solo abbigliamento, quindi, ma anche tessile, concia, calzature e pelletteria), si comprende subito che la moda ha bisogno di una robusta iniezione finanziaria.
Latenti da un pezzo, i sintomi della sottocapitalizzazione delle aziende del settore sono diventati lampanti per effetto della crisi. Perché, ad eccezione dei grandi marchi dell’abbigliamento, il rapporto tra incidenza dei mezzi propri e capitale investito nella moda è ben lontano dalla magica percentuale del 20 per cento. Quella che, secondo i più diffusi criteri manageriali, garantisce l’equilibrio finanziario. E se la meriterebbe, la moda, una dimostrazione di fiducia puntualizza il rapporto Meridiano Moda - perché la filiera ha creato negli anni molto valore (27,4 miliardi nel 2008, vale a dire l’ 11%dell’industria manifatturiera italiana). Nello stesso anno sempre il sistema ha realizzato esportazioni per 41,9 miliardi (pari all’11,5 del totale) guidata dall’abbigliamento con, addirittura, il 40 per cento. Il sistema moda si è così piazzato al secondo posto, alle spalle dell’industria meccanica, con un occupato su otto e una donna su quattro tra quelle del settore industria e commercio. Ma anche sotto il profilo occupazionale e della conservazione delle risorse umane gli ultimi anni sono stati molto difficili.
Di una cosa prende atto, il rapporto Meridiano Moda: il consumatore è cambiato profondamente, anche il sistema deve cambiar rotta. Il pronto moda, il fast fashion , implicano profonde e costose ristrutturazioni della filiera, la grande imputata - si calcola che sia responsabile del 20% delle diseconomie- , un generale pensamento della logistica, flessibilità, subfornitori affidabili.
Un mondo intero, il vecchio modo di produrre, è finito in sof-fitta, la moda ora deve cambiar pelle, considerando che gli outlet sul fronte della distribuzione sono l’unica realtà davvero in crescita. Per fornire un quadro completo, la ricerca ha adottato un campione di 2.700 imprese delle quali sono state individuate redditività, patrimonializzazione, indebitamento, capacità di generazione del valore e livello degli investimenti. Ad esempio, è risultato subito evidente che tessile e concia arrancano per redditività, vanno al traino dell’abbigliamento che, però, soffre di alti livelli di indebitamento e di un elevato fabbisogno di capitale circolante. Soffrono le piccole, soffre l’intero sistema per la mancanza a livello europeo di regole certe sulla tracciabilità. L’analisi finanziaria mette in evidenza le difficoltà del settore: solo il 3,6% del campione presenta rating di eccellenza, mentre il 38,4% delle aziende è compreso nell’area della vulnerabilità. Il 28,6%, inoltre è decisamente «a rischio».
Come intervenire? Il rafforzamento patrimoniale – spiega lo studio ”andrebbe favorito attraverso meccanismi di cofinanziamento e di coivestimento per facilitare l’ottenimento di impieghi bancari sfruttando un effetto moltiplicatore. E allora, ben venga un tavolo di lavoro tra im-prenditori, associazioni di categoria, rappresentanti delle filiere, per accordi con istituti di credito alla ricerca di investimenti supplementari pari o superiori al capitale messo a disposizione dall’imprenditore.