Valerio Cappelli, Corriere della Sera 26/02/2010, 26 febbraio 2010
«INVENTORE DI GENIO FECE CANTARE LA TASTIERA»
«Chopin è stato un compositore isolato ma universale, ha inventato l’arte di cantare per il pianoforte». Maurizio Pollini è il più grande interprete del nostro tempo di Chopin. Dopo il trionfale recital romano all’Accademia di Santa Cecilia, (uno dei suoi meriti è di aver risolto l’equivoco tra sentimento e sentimentalismo) il 21 marzo proporrà Chopin alla Scala e tra aprile e maggio un lungo tour in Usa.
Chopin amava Bach, Mozart e pochi altri del suo tempo.
«Aveva anche delle riserve su alcune pagine del Don Giovanni, che riteneva volgari. Era un compositore di gusti difficili, Beethoven, Schubert e Schumann non erano suoi prediletti. Era severo con gli altri autori e con se stesso, pubblicò solo opere che riteneva degne».
Schumann era generoso con i colleghi, però di Chopin non comprese interamente i Preludi e la Sonata con la Marcia Funebre.
«Erano due mondi che nel tempo tendevano ad allontanarsi. Non comprese la genialità del finale e la tragicità di quella Sonata. "Questa non è musica", disse».
Diceva Chopin: «Odio la musica che non ha un pensiero latente».
«Disprezzava la musica superficiale e senza profondità di cui c’erano tanti esempi. In lui c’erano tracce nascoste di pensieri non dichiarati. Chopin non rivelava l’origine della sua ispirazione, che fu unica, senza padri né figli». I grandi interpreti chopiniani? «Ricordo un concerto memorabile a Milano di Cortot, i 24 Preludi e i 24 Studi: era anziano, non era più quello dei primi anni. Fu un punto fermo nell’interpretazione. Rubinstein, più moderno, tolse aspetti ottocenteschi che facevano parte del mondo spirituale di Cortot e ci presentò un inedito Chopin virile, contro i facili cliché. Benedetti Michelangeli, la perfezione: aveva una capacità di controllo sul suono che non si riesce a dimenticare, questo non significa che mancasse di elementi emotivi evidenti. Horowitz era estremamente libero, aveva una visione personale, una volta suonò per me a casa sua a New York: nella sua Mazurca c’era una specie di malinconia slava che permeava tutta la stanza. Oggi direi Zimerman, e tra i più giovani Kissin. Lang Lang? L’ho sentito solo su disco, è provvisto certamente di enorme tecnica».
Ha mai avuto una crisi di saturazione per Chopin?
«In alcuni periodi l’ho suonato meno; abbandonato, mai. Rimane un privilegio. Furtwängler diceva: è l’autore che invidio ai pianisti».
Sono 50 anni da quando lei si impose vincendo, diciottenne, il Concorso «Chopin». Vero che Rubinstein disse: suona troppo di fretta, ma l’importante è che abbia questo talento?
«No. Disse: suona tecnicamente meglio di qualsiasi componente della giuria». Sorride: «Era un modo per prenderli in giro».
Sta uscendo una sua antologia chopiniana: cosa le manca al catalogo discografico per DG?
«La miniera delle Mazurche. Gradualmente le inciderò». Era abile nella grande forma? «Abbiamo i due Concerti giovanili e le Sonate, così slegate dall’accademia. Prendiamo due capolavori completamente diversi. La Grande Polacca in la bemolle ha un’intuizione geniale, però l’autore non ha altro da fare se non ripetere alcuni elementi stabilendo dei collegamenti. La Polonaise Fantasie invece è una grande elaborazione su un tema non particolarmente vistoso, e la ripresa del primo tempo, a dispetto della tradizione, viene tagliata. Chopin è grande in quanto tradisce la forma classica con soluzioni assolutamente personali». Esiste un «suono Chopin»? «Sono sue le più belle sonorità che si possano ottenere dal pianoforte. A parte l’originalità dell’invenzione, gli accompagnamenti che sostengono la linea melodica, la scrittura larga della mano sinistra è miracolosa». Cosa porterà l’anniversario? « Sarebbe meraviglioso avere un’edizione critica. Ce ne sono varie, l’ultima approvata da Chopin è quella francese, ma avere un commentario che chiarisse il lavoro scrupoloso, le piccole modifiche, sarebbe un modo per capirne il metodo di perfezionamento della scrittura che, come annotò George Sand, nasceva da un processo tormentato. Chopin non era mai contento, spezzava penne e matite. Sogno l’edizione perfetta della sua musica».
Valerio Cappelli