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 2010  febbraio 26 Venerdì calendario

LE DIFESE ABBASSATE DELLE AZIENDE E LA LEZIONE AMERICANA DELL’AIG

L’inchiesta sulle compagnie telefoniche per riciclaggio e costituzione di crediti Iva fittizi (circa 300 milioni per Telecom Italia Sparkle, altre decine per Fastweb) incrocia quella sulle tangenti monetarie e sessuali corrisposte per le opere assegnate per le vie brevi dalla Protezione civile senza adeguati rendiconti finali. Questi due casi clamorosi costituiscono la punta emergente di un gigantesco iceberg del malaffare, formato dalla nuova Tangentopoli, denunciata dalla Corte dei conti, e dall’ampio uso del denaro «caldo» nell’economia legale.
La rapida successione delle notizie associa un fenomeno antico come la corruzione, che affonda le sue radici nel familismo amorale di tanti italiani, al fenomeno contemporaneo della truffa internazionale per migliorare i bilanci di società che hanno elevato la performance e il potere a totem ideologico e stile di vita. E’ una sequenza che fa invecchiare di colpo analisi e soluzioni fino a ieri convincenti.
Il rimedio degli Anni 90 alla corruzione dei politici e dei pubblici funzionari, quale scorciatoia per battere con poca spesa la concorrenza, è stato fin qui la riduzione al minimo del ruolo dello Stato nell’economia. Più si privatizza e meglio è. Più si fa concorrenza e più si riduce l’arbitrio remunerabile del governo o della burocrazia. Meno regole si mettono e meno gli affari soffriranno. Insomma, il modello anglosassone. Va aggiunto che, nell’Italia delle clientele e delle parentele (come la definì negli Anni 60 Joseph La Palombara), il modello anglosassone rappresentava una rottura capace di esaltare il merito e la stessa democrazia. Ma questo modello ha poi mostrato limiti gravissimi nei suoi stessi Paesi d’origine. Basti un solo confronto. Conti alla mano, il caso dell’Aig, l’American International Group che aveva venduto agli investitori protezione dal rischio di fallimento dei debitori in misura enormemente superiore alle sue effettive possibilità di copertura, appare infinitamente più grave dell’Opa di Unipol su Bnl, che pure mise a rumore l’Italia per un’estate. L’Aig non è fallita solo perché salvata dal Tesoro. Unipol è stata fermata dalla Banca d’Italia, pur avendo mezzi propri reali in proporzione assai superiori non solo a quelli di Aig ma anche a quelli di altre banche europee, e i contribuenti non ci hanno rimesso nulla.
Ma perché l’Aig vendeva tanti credit default swaps? Perché i conseguenti guadagni immediati avrebbero dato un grande ritorno sul capitale investito dai soci. Il successivo, enorme onere per il contribuente non era previsto dal modello. Un errore? Lo può pensare chi creda che il Gosplan fosse uno sbaglio nell’applicazione del comunismo e non il modo con il quale la nomenklatura sovietica sequestrava il potere e le ricchezze dell’Urss. Chi invece guardi al gioco degli interessi dirà che l’Aig e le altre storiacce di Wall Street sono il frutto avvelenato della deregulation finanziaria voluta da chi ne avrebbe tratto vantaggio: manager, investitori, politici, accademici, banchieri centrali, quell’upper class legata da una solidarietà diversa da quella italiana dei sindacati azionari e delle partecipazioni incrociate ma non meno efficace nell’appropriazione privata dei benefici del controllo.
Telecom Italia Sparkle e Fastweb, avvertono i pm, hanno come minimo abbassato le difese di fronte al traffico anomalo, che, al di là del riciclaggio procurato alle controparti di comodo, generava fatturato e performance alle quali erano legate la retribuzione dei manager e la reputazione delle società sui mercati finanziari. Una ricerca compulsiva del risultato che, nelle sue motivazioni di fondo, non appare tanto diversa da quella dei manager di Aig. Del resto, l’impegno a «verificare con efficacia e senza indugio eventuali responsabilità per vicende e fatti del passato», annunciato ieri dal consiglio di Telecom, alimenta forti dubbi sul sistema dei controlli interni che hanno il duplice scopo di rappresentare fedelmente nei bilanci la realtà della gestione e di osservare la legge 231 che prescrive un’adeguata organizzazione aziendale allo scopo di evitare che vengano perpetrati reati contro la pubblica amministrazione nell’interesse della società.
Il malaffare incrociato delle vecchie tangenti e delle false performance evoca la necessità di una rivoluzione culturale che porti trasparenza e merito nella pubblica amministrazione e rompa le omertà del capitalismo di relazione. Ma una rivoluzione culturale non si può limitare alle regole, come abbiamo pensato fino a ieri. Anche perché Fastweb e Telecom Italia sono già società private che operano in un settore liberalizzato. La svolta si realizza quando si rinnova la vita ordinaria delle imprese introducendo, accanto alla coscienza ambientale, il valore della sostenibilità sociale. Dove per sostenibilità sociale si intende non solo il rispetto dei diritti e doveri di cittadinanza, a cominciare dall’obbligo fiscale, ma anche quel senso del limite e dell’equità che, per esempio, renderebbe socialmente censurabile elevare le paghe dei capi fino a qualche centinaio di volte il salario medio dei dipendenti o assegnare dividendi agli azionisti anche quando il bilancio di un’industria è in rosso o il patrimonio di una banca modesto
Massimo Mucchetti